Industria 4.0. Rivoluzione culturale prima che tecnologica
Siamo ormai abituati ad avere a che fare con espressioni linguistiche costituite da un nome e due numeri puntati il cui secondo è uno zero: tipo 2.0, 3.0, 4.0 eccetera. Messe in ordine ascendente, le cifre dovrebbero suggerire un’evoluzione, un passaggio verso una versione più avanzata (o aggiornata) di una data situazione o di un certo oggetto.
Fra le prime ad imporsi e più note non solo fra gli addetti ai lavori c’è sicuramente “web 2.0”. Si tratta di un fenomeno affascinante dal punto di vista ideale, che ha fatto cultura, che ha dato l’avvio a molte discussioni sul futuro delle nostre società ma che da un punto di vista tecnologico è sostanzialmente vuoto, privo di contenuti. Ciò che il web 2.0 portava come straordinaria novità era il cambio di approccio all’uso della rete, con il passaggio da un sistema in cui solo un numero limitato di content provider produceva e forniva contenuti, ad un’altra modalità che, invece, prevedeva e favoriva la nascita di una comunità sempre più allargata di utenti, ognuno dei quali in grado non solo di produrre ma anche di condividere – o mettere in rete – questi contenuti.
In un certo senso, l’Industria 4.0 non è differente dal sopra citato web 2.0: più che di rivoluzione tecnologica – il digitale non è certamente una novità di questi ultimissimi anni – si deve parlare di nuovo atteggiamento o rinnovato approccio alle modalità di fare industria, di produrre. Un atteggiamento con forti legami a questioni di ruolo e di procedura che coinvolge molto meno il personale tecnico e molto più figure chiave in azienda come il direttore finanziario o l’amministratore delegato. Personaggi che nell’ecosistema aziendale delineano le strategie e prendono le decisioni, scegliendo una direzione piuttosto che un’altra.
Operando in una compagnia che di Industria 4.0 fornisce il backbone, cioè l’informatica e quegli strumenti che servono a collegarsi, sono fermamente convinto di quanto, per un’azienda, sia importante avere un progetto. Ogni implementazione di software senza un’idea seria e strutturata alle spalle è assolutamente inutile, se non dannosa.
Ecco perché l’Industria 4.0 è innanzitutto la necessità o la capacità di definire all’interno dell’azienda, qualunque essa sia, qualunque sia l’impatto economico, un percorso di nuova gestione delle risorse. E qui si intende gestione e integrazione di tutte le risorse, da quelle energetiche a quelle produttive a quelle informatiche e così via.
L’Industria 4.0 è una bellissima idea grazie alla quale tutti gli oggetti e tutti i soggetti che fanno parte di un’impresa smettono di essere isolati e diventano interconnessi. E non solamente come connessione fisica o di comunicazione, ma come vera e propria questione di processo. In questo senso, l’interconnessione vuol dire che tutti gli oggetti – fra loro “uniti” – devono poter lavorare insieme per fornire un risultato.
Ovviamente per poter operare in modo congiunto e per garantire un risultato servono dispositivi e strumenti (hardware e software) in grado di ben funzionare, dai connettori per collegamenti, ai sensori per monitoraggio dati, ai sistemi di analisi big data e di qualità del dato, fino ai sistemi di sicurezza informatica. Elementi che pur importanti, non sono decisivi per arrivare a un risultato pieno. Ciò che viene prima del buon funzionamento degli strumenti è la capacità di integrare la tecnologia nei processi e questi – a loro volta – nella cultura aziendale. In altre parole, significa che l’impresa è preparata su come utilizzare al meglio (ovvero in modo funzionale e strategico all’attività dell’impresa stessa) ciò che le nuove tecnologia potranno generare.
Un esempio su tutti: la mole di dati che gli oggetti interconnessi producono rimane inutilizzata o sottoutilizzata a causa di scarse capacità di analisi.
L’Industria 4.0 è rivoluzionaria nel suo essere elemento di rottura rispetto al modello industriale consolidato. E questo discorso vale tanto per i grandi gruppi, dove ogni intervento ha ripercussioni maggiori (basti pensare agli interventi di efficientamento energetico) sia per le PMI.
In Italia, in particolare, è importante che la piccola e media impresa si doti degli strumenti culturali per capire dove intervenire per diventare o rimanere competitiva in un panorama mondiale di forte cambiamento. Ciò significa saper scegliere sia la soluzione più adatta alle proprie esigenze sia il sistema che meglio si sposa con i propri piani strategici di crescita. E le offerte non mancano: piattaforme di proprietà, servizi cloud, affiancamento di consulenti, affidamento in outsourcing. Ogni scelta ha vantaggi e svantaggi: l’importante è che anche in una piccola realtà imprenditoriale vi sia qualcuno che abbia una visione più ampia, a medio-lungo termine.
Come sarà, dunque, questo passaggio all’Industria 4.0? Probabilmente lento, a piccoli step sia per le ragioni culturali sopra citate, sia per motivazioni più squisitamente economiche, considerando i costi non indifferenti per l’adeguamento della produzione a ai nuovi standard.
Senza dubbio sarà inevitabile e prima si inizierà a pensare in modo nuovo, prima recupereremo come sistema-Paese competitività a livello globale.
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