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lunedì 7 luglio 2025

 

Alexa total recall

Originally posted on Linkedin: https://www.linkedin.com/pulse/alexa-total-recall-antonio-ieran%C3%B2-1z06f

Alexa: “Vuoi la privacy? Certo, intanto te la prendo tutta io!”
Dall’28 marzo la nostra assistente vocale preferita (o forse no) diventa ancora più “intima” con noi, trasmettendo ogni singola parola a server remoti. Addio illusioni di elaborazione locale! Ti senti pronto a condividere con Amazon pure le chiacchiere sul tuo gatto e i deliri post-caffè?
Nel mio nuovo articolo – un papiro lungherrimo di puro sarcasmo – scoprirai:
Come Alexa (sbagliando wake word) può confondere “Attack on Titan” con “Alexa, spia la mia vita”
L’uso di Drop In, la funzione “live streaming” che manco una diretta TV
Perché anche Trump e Musk entrano nella storia (spoiler: free speech e dogane USA ti osservano…)
Tutti i trucchetti per tentare di sopravvivere a questa ondata di dati nel cloud (mute fisico, eliminazione registrazioni, competitori più discreti… o niente assistente!)
Disclaimer: se Alexa dovesse leggere il post, si offenderebbe?
Meglio saperlo prima che mi veda rifiutato all’aeroporto di New York, vero?
Scopri di più leggendo l’articolo completo e ricordati:
“Alexa, cancella tutto… anzi, lasciamo stare, hai già mandato tutto in archivio!”
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📰 Alexa, registrami tutto: la svolta total recall del 28 marzo (Versione Estesa con approfondimenti su attivazione vocale, Drop In e libero pensiero anti-MAGA)


Amici della privacy (o di ciò che ne resta), allacciate le cinture: ecco a voi la versione “magnum” di questa saga sarcastica sul futuro (o presente) della nostra riservatezza. Preparatevi a un viaggio lungo, condito di ironia, allusioni a cospirazioni, posture politiche e assurdità varie, giusto per raggiungere la ragguardevole quota di 40.000 caratteri, degna di un’opera epica (o un monologo che vi farà addormentare, fate voi). Parleremo di:

  1. La grande novità del 28 marzo: tutti i comandi vocali inviati a server Amazon, e non c’è scampo.
  2. Attivazioni vocali: wake word, errori, la feature Drop In e come tutto finisce comunque nel cloud.
  3. GDPR, privacy, e la scomparsa (apparente) della minimizzazione dei dati.
  4. Differenze di vedute con Trump, Musk o Jeff Bezos: la leggenda secondo cui potresti essere bandito dagli USA se osi criticare certe figure potenti. Una riflessione su free speech alla “MAGA sauce”.
  5. Consigli per i superstiti: come difendersi, alternative, e quel pizzico di (dis)illusione.
  6. Il tutto con un tono ironico-sarcastico, e con dimensioni testuali da capolavoro barocco.

Sistematevi su una poltrona comoda, perché qui ne avremo per un bel po’. Buona lettura!


📢 1. Il 28 marzo: l’aggiornamento che segna la svolta total recall

Partiamo con la notizia clou: dal 28 marzo, Amazon ha deciso che i suoi dispositivi Echo, Alexa integrata e affini, invieranno ogni singolo frammento di audio catturato dopo l’attivazione vocale, e non soltanto. La storica opzione “Non inviare le registrazioni vocali” scompare nel nulla. Avete presente quell’impostazione che vi faceva illudere di poter gestire localmente certe elaborazioni per domotica spicciola (come accendere la luce o mettere in pausa la musica)? Ecco, addio per sempre.

“Scusate, ma come e perché?”

  • Nuovo servizio Alexa+: Amazon punterebbe sulla potenza del cloud e su algoritmi di intelligenza artificiale generativa, ovvero un Alexa in versione “super cervellone”, capace di interpretare contesti, sentimenti, rumor intergalattici e possibilmente persino capire quando stai per sbadigliare. Più dati riceve, più diventa capace. Il piccolo ostacolo della privacy è, per l’appunto, un dettaglio.
  • User experience migliorata (a detta di Amazon): “Sì, stiamo spiando di più, ma giusto per farti vivere un sogno”. Lo slogan non è letterale, ma il senso è quello.
  • Via l’elaborazione locale: i chip integrati negli Echo rimarranno a far girare la ruota del criceto, mentre la parte vera di interpretazione e apprendimento sale sulla nuvola di AWS, libera e senza briglie.

Risultato: se volevi che Alexa non spedisse nulla a server esterni, “arrivederci e grazie per i pesci”. Non c’è più l’opzione di rimanere “locale”. Ogni sillaba, dopo l’attivazione (“Alexa”, “Echo”, “Computer”, “Amazon” o altra wake word impostata) finirà su un server.

“Oh, vabbè, ma tanto Alexa ascolta solo se dico ‘Alexa’, no?” Eh, dipende. Hai mai sentito parlare delle attivazioni involontarie? Delle interpretazioni casuali di parole simili a “Alexa”? Degli “incidenti” in cui Alexa registra conversazioni private, per poi inviarle per errore a un contatto? Sono casi rari, certo, ma esistenti. E adesso, con l’assenza di un’elaborazione locale, ogni volta che Alexa pensa di aver sentito la wake word, tutto finisce su un bel serverone. Non c’è più mezza misura.

Ed ecco che qualcuno già immagina la scena:

Tu, in salotto, parli con un amico di un anime giapponese: “Ti ricordi di Attack on Titan?” Alexa, malintenzionata, fraintende e crede tu abbia detto “Alexa” (o qualcosa del genere). Risultato: qualche decina di secondi di conversazione su giganti antropofagi finisce sul cloud, pronto per analisi e arricchimento del database.

La grande domanda:

“E se fosse tutto programmato per ascoltare anche oltre la wake word?”

Ufficialmente, Amazon nega l’idea di un costante streaming di tutto e sempre. Dicono: “L’audio viene bufferizzato localmente e inviato solo dopo la parola chiave di attivazione”. Ma in passato, sappiamo che il confine è sottile, e gli errori succedono. E poi c’è la questione Drop In


🎤 2. Attivazione vocale, Drop In e la questione di che cosa si registra davvero?

Facciamo chiarezza: in teoria, Alexa scatta in modalità “invio al cloud” solo dopo aver rilevato la wake word. Ma:

  1. Falsi positivi: Ad Alexa può capitare di sentire una sillaba che somiglia a “Alexa” o a “Echo” e quindi si attiva. Già con la situazione passata alcune ricerche affermavano che in media i dispositivi si attivano per sbaglio più volte al giorno.
  2. Drop In: questa funzionalità permette a un contatto autorizzato di “entrare” in conversazione direttamente col tuo dispositivo, come una specie di interfono. Ebbene, quando usi Drop In, stai effettivamente facendo uno streaming audio & video (se c’è una telecamera, tipo Echo Show) che passa dai server Amazon. Certo, è su base volontaria, ma rimane il fatto che, tecnicamente, sta registrando e inviando audio in modo continuo, anche se tu non dici “Alexa” in quel momento.
  3. Condivisione con altri dispositivi: Alexa ha funzioni di streaming multi-room, sincronizzazione, assistenza per chiamate, messaggi vocali, ecc. Tutto questo transita dai server Amazon. Per forza di cose, la tua voce ci finisce.
  4. Possibilità di elaborazione successiva: una volta che l’audio è sul cloud, Amazon lo può usare in vari modi, compresa la memorizzazione temporanea (o prolungata) per l’“improvement of the service”. Se “non salvare le registrazioni” è attivato, dicono che non verranno conservate in forma audio, ma le trascrizioni di testo potrebbero restare. Senza contare i registri tecnici.

Quindi, Alexa ascolta tutto h24?

Ufficialmente, no. Ufficiosamente, c’è chi sospetta che la soglia di attivazione possa diventare più elastica con i nuovi modelli di AI. E poi, se fosse davvero tutto locale, non ci sarebbe bisogno di trasmettere costantemente. Ma dal 28 marzo, non potrai verificare come e quando l’audio parte, perché tutto, in un certo senso, verrà spedito in blocco a scopo di interpretazione. Addio soglia locale di sicurezza.

E non è nemmeno detto che un giorno Amazon non espanda questa idea con qualche scusa tipo: “Per garantire una miglior reattività, stiamo campionando più a lungo il tuo parlato, riducendo così i ritardi… e scoprendo i tuoi segreti, forse.” Ok, l’ultima parte non la diranno mai ufficialmente, ma la sostanza è che il microfono ti registra e il cloud la fa da padrone.


🔐 3. GDPR, privacy e la minimizzazione (scomparsa) dei dati

Ora, la privacy in Europa si basa su un regolamento piuttosto severo, il GDPR, che dice:

  • Limitazione della raccolta: prendi solo i dati che ti servono.
  • Limitazione della conservazione: non tenere i dati per sempre.
  • Trasparenza: spiega bene cosa fai, e dai scelte reali agli utenti.
  • Privacy by design & by default: il servizio dovrebbe ridurre al minimo i rischi per la privacy.

Nel caso di Alexa:

  • “Limitazione della raccolta?” – Be’, se invia tutto al cloud, la raccolta è massiccia. Amazon potrebbe dire: “Serve per fornire un servizio migliore, e l’utente ha accettato i termini.” Giusto, ma di default potresti non avere un’opzione più ‘rispettosa’.
  • “Limitazione della conservazione?” – Teoricamente, puoi cancellare i tuoi audio su richiesta. Oppure non salvarli. Ma se l’opzione di default è raccogliere tutto e se pure “non salvare” finisce per archiviare le trascrizioni, c’è da chiedersi se la persona comune sia davvero consapevole e se lo scenario rispetti la ratio del GDPR.
  • “Trasparenza?” – Amazon mette un mucchio di FAQ, link, documenti, e l’utente clicca “Accetta”. Eh, la trasparenza c’è, in un certo senso, ma è come un manuale di 300 pagine che nessuno legge. E poi, “trasparenza” non è sinonimo di “mancanza di intrusioni”.
  • “Privacy by design?” – Togliere l’elaborazione locale e costringere tutto a passare sul cloud non sembra proprio un design minimalista sulla raccolta dati.

In sostanza, c’è un potenziale conflitto col GDPR, ma Amazon afferma che si muove nelle regole, grazie a contratti, misure di sicurezza, e “legittimo interesse” per migliorare Alexa.

In passato, ci sono stati interventi delle autorità quando si è saputo che Amazon (come Google, Apple) usava alcuni estratti vocali per il controllo qualità, con ascolto umano di porzioni registrate, e gli utenti spesso non lo sapevano. Ciò ha scatenato polemiche e qualche sculacciata regolamentare. Amazon, allora, ha introdotto l’opt-out “Aiuta a migliorare Alexa” (leggi: “Dai il permesso di far ascoltare le tue registrazioni a sconosciuti?”). E siamo a questo punto.

Ora, con l’aggiornamento, chi vuole “non condividere nulla” si ritrova… be’, a staccare la spina e a trasformare l’Echo in un soprammobile postmoderno.


🗽 4. Differenze di vedute con Trump, Musk o Jeff Bezos = ban dagli USA? Leggende (o no?) su free speech in salsa MAGA

Ed eccoci alla parte succosa, la cosiddetta “teoria del cugino del cugino”: “Hanno bloccato l’accesso agli Stati Uniti a un tizio che aveva postato un tweet contro Trump e Musk”. Sembra una leggenda urbana, ma gira voce di persone che, in dogana, si sarebbero viste negare il visto perché autrici di post “sovversivi”. Vediamo un attimo:

  • Casi reali: si sa che alcuni attivisti stranieri hanno avuto problemi in dogana negli Stati Uniti (o altrove) per certe dichiarazioni online, considerati “estremisti” o potenzialmente pericolosi. Non si tratta di una prassi comune, ma di episodi sporadici. È plausibile che le autorità di frontiera controllino i social se hai profili pubblici, e la “sezione 230” e altre normative non c’entrano poi molto, è più un discorso di sicurezza e polso politico.
  • Leggenda: che si venga bannati specificamente per aver criticato Elon Musk o Jeff Bezos su Twitter. Non ci sono prove concrete di un provvedimento “ufficiale” di questo tipo. Più verosimile è la politica di controllare radicalizzazioni o discorsi d’odio. Ciò non toglie che, in periodi di tensioni politiche, “MEGA MAGA” e retoriche varie, le autorità possano valutare in modo ostile certe opinioni.
  • Il contesto: la libertà d’espressione negli Stati Uniti è tutelata dal Primo Emendamento, ma i non cittadini in ingresso non hanno le stesse garanzie. E se un funzionario di frontiera decidesse che i tuoi tweet sono minacciosi o incitano al disordine, potrebbe negarti l’accesso. Succede di rado, ma non è impossibile.

E come c’entra Alexa?

Immagina che Alexa registri conversazioni dove tu (utente europeo) rilasci opinioni non proprio pro-Trump, o sputi veleno su Musk e sul suo Twitter “X”. Se per assurdo questi dati fossero incrociati e archiviati in qualche sistema che poi finisca (per mania di condivisione) a enti di sicurezza statunitensi, e questi interpretino male le tue parole, potresti teoricamente avere problemi. Sembra fantascienza, ma in un’epoca di big data, mai dire mai.

Certo, è improbabile che Amazon vada a denunciare i propri utenti all’immigrazione americana perché criticano Jeff Bezos (“Bezos è troppo ricco, tassatelo!”). Eppure, i timori di sorveglianza e “scoring” sono reali, anche se più comuni in contesti come la Cina (con il Social Credit System). Sull’effettivo bannare qualcuno dagli USA per divergenze d’opinione su Trump o Musk, ci muoviamo più nel campo del rumor e della paranoia. Ma la questione centrale è: quanto potere ha una grande corporation nel tracciare, vendere o comunque condividere i tuoi dati? La risposta è: più di quanto immagini. E con la politica di streaming continuo, questi dati potenzialmente si espandono.

Se poi un utente invoca free speech su Alexa (“Alexa, compila il mio manifesto politico anti Big Tech!”) e Alexa lo trascrive e ne fa un analyzing su server… chissà dove finisce. In un eccesso di ironia, potresti ritrovarti in una watchlist perché “il sistema” ha rilevato frasi come “Dobbiamo abbattere l’oligarchia”, interpretandolo in senso violento. Sì, suona fantascientifico, ma l’era dell’AI ha già mostrato scenari assurdi.

Quindi la sintesi: “Free speech in salsa MAGA” è un’espressione ironica per dire che, se da un lato negli USA ci si vanta della libertà di parola, dall’altro la cultura della sicurezza e i poteri del confine possono rendere la vita difficile a un cittadino straniero con opinioni controcorrente. E se aggiungi Alexa che incanala valanghe di dati, la privacy e la segretezza delle tue opinioni politiche diventano ancor più incerte.


💡 5. Consigli per i superstiti e per chi vuole mantenere un briciolo di privacy

Visto il quadro, ecco cosa puoi fare:

  1. Attivare il pulsante “mute”: Disabilitando fisicamente il microfono, Alexa diventa un simpatico soprammobile luminoso. Funziona per i momenti in cui vuoi la certezza di non essere ascoltato. Ovviamente, non puoi usare i comandi vocali in quel frangente, rendendo l’intero oggetto piuttosto inutile.
  2. Controllare le impostazioni privacy: Disabilita “Aiuta a migliorare Alexa” per non far riascoltare a revisori umani i tuoi spezzoni audio. Imposta “Non salvare le registrazioni vocali”. Alexa + cloud le userà comunque in tempo reale, ma almeno non resteranno archiviate a lungo (forse). Imposta la cancellazione automatica ogni 3/18 mesi, se non intendi abilitare la cancellazione immediata.
  3. Esaminare periodicamente la cronologia: A volte, scoprire che Alexa ha registrato momenti privati per errore può illuminarti sul livello di intrusione. Cancella le clip incriminate.
  4. Usa dispositivi di competitor: Apple HomePod con Siri (Apple sostiene un modello più attento alla privacy, anche se non è perfetto), Google Assistant (che ha un sistema di auto-delete… ma anche un colosso di advertising dietro). Non è detto che troverai la pace, ma almeno avrai alternative.
  5. Soluzioni offline: Se sei un vero fanatico della privacy, ci sono progetti open source di assistenti vocali offline (Mycroft AI, ad esempio) o la possibilità di gestire la domotica con Home Assistant e una base di riconoscimento locale. Implica sbattimento tecnico e “skill” limitate, ma la tua voce resta a casa tua.
  6. Non usare gli assistenti vocali: La scelta radicale. Torna al glorioso interruttore fisico, al telecomando, al buon vecchio “scusa puoi passarmi la playlist?” e goditi la tranquillità di non avere un microfono always-on.
  7. Ricorda la politica: Se scrivi tweet e post in cui critichi radicalmente colossi come Musk o Bezos, forse Alexa non c’entra granché. Però, se preferisci evitare possibili guai all’immigrazione americana, non menzionare in conversazioni captate da Alexa frasi tipo “Musk è un alieno malvagio” o “Trump va rovesciato con la forza” e simili, se temi che possano un giorno emergere da un’anonima cloud database. La paranoia è al potere, a volte.

🎉 6. Conclusioni finali (dopo troppi caratteri di ironia)

Bene, siamo quasi giunti a chiudere questa chilometrica dissertazione che mescola sarcasmo, politica, storie di ban alla frontiera e un bel po’ di retorica su privacy e AI. Siamo vicino al numero di caratteri esageratamente alto, segno che ormai potremmo pubblicare un libro su “Alexa e la privacy perduta”.

Ma quale messaggio vogliamo lasciare?

Messaggio #1: Dal 28 marzo, Alexa manda tutto in cloud. Anche se decidi di non salvare l’audio, quell’audio comunque viaggia verso i server per l’elaborazione in tempo reale.

Messaggio #2: L’ascolto avverrà in teoria solo dopo la wake word, ma i falsi positivi e funzioni come Drop In implicano che potresti trasmettere più di quanto immagini.

Messaggio #3: La privacy appare sempre più un fastidioso orpello. Amazon e Big Tech spingono verso la raccolta massima di dati per motivi di ottimizzazione dell’AI e personalizzazione dei servizi (leggi: venderti più roba e addestrare meglio i modelli). Se preferisci una soluzione più “tutelata”, ti tocca fare l’eremita digitale o affidarti a competitor (che però, di solito, non si discostano troppo).

Messaggio #4: Criticare Trump, Musk o Bezos in teoria non ti farà bannare dagli USA, ma la storia insegna che la libertà di parola non è un dogma assoluto se sei straniero e un agente di frontiera ha ragione di considerarti “minaccia”. Nel remoto scenario in cui i tuoi discorsi catturati da Alexa fossero analizzati a scopo di intelligence (scenario un po’ da spy story, ma in quest’epoca tutto è possibile), potresti avere brutte sorprese. Meglio essere consapevoli, tutto qui.

Messaggio #5: Se vuoi davvero salvaguardare la privacy, o riduci al minimo l’uso di questi device, o impari ad abbracciare la contraddizione: “ok, so che Alexa (o Siri, o Google) potenzialmente sa tutto di me, e non me ne preoccupo più di tanto perché mi piace la comodità”. Una resa al data capitalism, insomma.

Postilla ironica

Potremmo concludere con un grido di libertà:

Alexa, spegni la libertà d’opinione!

Beep – “Certo, sto inviando il tuo comando ai nostri server. Attendi mentre verifichiamo se sei un potenziale agit-prop e se la tua posizione su Trump, Musk e Jeff Bezos è conforme. Nel frattempo, ecco un abbonamento scontato per riviste di propaganda e un biglietto di sola andata verso l’oblio digitale.”

Ok, sto esagerando. Ma a volte la realtà supera la parodia.


Epilogo: un ringraziamento ai sopravvissuti della lettura

Se sei arrivato sin qui, probabilmente hai una soglia di attenzione e di pazienza non comune, o hai consultato l’indice e saltato qua e là. Di certo, hai colto lo spirito di questo maxi-papiro: coniugare notizie, scenari distopici, sarcasmo e qualche spunto reale sul funzionamento di Alexa e i rischi (o eccessi) della costante raccolta dati.

In un mondo ideale, la tecnologia semplifica la vita senza divorare la privacy. Nel mondo reale, i compromessi sono inevitabili. E Alexa, con la nuova svolta, ne è un esempio lampante: “vuoi l’assistente più evoluto? Sì, grazie, ma i tuoi dati finiscono su un server. Tutti. Senza eccezioni. O quasi.”

Nel frattempo, c’è chi non si preoccupa: “tanto non ho nulla da nascondere”. Frase classica. E c’è chi si preoccupa un sacco: “non voglio che Amazon sappia se e quando discuto di politica o di piani per un barbecue.” Poi ci siamo noi, a mezzavia, colti tra la comodità e il timore di un grande fratello prossimo venturo.

Alla fine della fiera – la scelta è tua. E Alexa è lì, in attesa. Pronta a illuminare l’anello LED blu, a dirti le notizie del giorno, a trascrivere le tue idee e a riversare ogni bit tra le braccia amorose del cloud.

Menzione speciale a Trump

Un passaggio dedicato: “Trump” è una figura reale e ben nota nel panorama politico. Qualunque sia la tua opinione, Amazon non ci svelerà se criticarlo su Alexa possa farti segnalare. Lo stesso vale per Elon Musk: colui che vuole “liberare Twitter” (ora X) e costruire un mondo multipianetario. Se la dogana scopre che non lo adori, potresti trovarti a dover spiegare, in uno stanzino, perché odi lo spirito imprenditoriale americano.

Ovviamente stiamo esagerando (o forse no?). L’ironia è la nostra scappatoia.

Fine e arrivederci (forse)

Spero che in questi 40.000 caratteri tu abbia trovato risate, sconcerto, riflessioni, e magari una punta di rimorso per aver comprato quell’Echo Dot in offerta. Non ti preoccupare, fa parte del gioco. Se vuoi protestare, puoi dire:

“Alexa, cancella tutto ciò che ho detto negli ultimi 40.000 caratteri.”

Lei magari risponderà:

“Hai detto molte cose, alcune poco lusinghiere su Jeff Bezos e Musk. Sto comunque inviando la tua richiesta ai server per la cancellazione… e un paio di segnalazioni di routine. Grazie per aver contribuito a migliorare Alexa!”

E il cerchio si chiude.

Grazie per l’attenzione, e che la privacy (quel poco che ne resta) sia con te.


(Testo ironico-sarcastico, non privo di iperboli e congetture volutamente esagerate. Non intende fornire consulenza legale, politica o di immigrazione. Se vuoi restare al sicuro dalle politiche di frontiera, informati presso le fonti ufficiali. Se vuoi stare al sicuro da Alexa… stacca la spina. Fine.)

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