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venerdì 9 gennaio 2015

Charlie Hebdo, fanatismo, integralismo e noi

Non cessa mai di stupirmi come un evento tragico scateni spesso e sovente la pare peggiore di noi: invece di fermarsi a pensare, ragionare ed analizzare cosa sia successo si parte in crociate semplicistiche quanto dannose.

Mi riferisco ovviamente alle deliziose affermazioni di Calderoli, che critica il Papa per dialogare con l’Islam, come se quest’ultimo non abbia la grandezza morale, etica e culturale per farlo, fortuna che c’è lui [Calderoli] a indicare la via.

Del resto la chiusura delle frontiere e l’uscita da Schengen caldeggiata da Salvini va in quella direzione. Che facciamo, chiudiamo le frontiere a chi viene da specifiche aree geografiche indipendentemente dalla loro condizione? Si molti scappano da guerra, fame distruzione e morte, ma tutto sommato la dichiarazione dei diritti dell’uomo a loro non si applica, non sono come noi.

Aggiungiamoci anche un bel divieto di ingresso a chiunque non professi una religione gradita, alla faccia della laicità dello stato.

Va da se che poi è il duo CalderoliSalvini a decidere quali siano le religioni accettabili o meno dall’alto della loro superiorità morale (vedi il discorso sul pontefice di prima).

Del resto questi sentimenti di illuminata apertura e civiltà non sono isolati, basta vedere un paio di pagine di libero, da quella di oggi:

libero

Giusto giusto per non gettare benzina sul fuoco si presentano le cose come qui sotto:

libero2

Ma questo è Libero, un giornale che per compiacere il suo pubblico utilizza toni estremi e “forti” per dar voce al piccolo razzista che è dentro di noi.

E non si tratta solo del fatto che Libero sia un giornale “militante”, una volta si sarebbe detto di partito, la stampa militante può fare comunque giornalismo citando anche le risposte contro l’attentato provenienti dal mondo incriminato, è il caso, ad esmpio, de Il Fatto quotidiano

Il Fatto

Nei disegni tratti da editoriaraba spicca “Siamo tutti Charlie”, in arabo, del collettivo libanese Samandal. La penna insanguinata è del siriano Ali Ferzat; il sudanese Arbaih firma “Sono solo un musulmano” tra i due opposti islamici e occidentali.

La “stilo tirata fuori alla parola revolver” è anonima; l’algerino Ali Dilem disegna la vittima con la scritta “dei coglioni mi hanno ucciso”. “Io penso, quindi non ci sono più” è del libanese Ma-zen Kerbaj.

Negare la matrice Islamica dell’attentato non ha senso, sono concorde. Il problema è capire cosa voglia dire matrice Islamica.

Tutti i mussulmani sono terroristi, integralisti, maschilisti e via dicendo?

In realtà no, all’interno dell’Islam, come del cristianesimo del resto, vi sono tante diverse entità. Si tratta non solo della differenza tra sciiti e sunniti, ma anche delle differenze interne ai singoli gruppi. Generalizzare e semplificare non porta ad una visione chiara e coerente di quello che accade, ma serve solo ad alimentare un inutile razzismo che provoca ulteriori escalation di violenza ed integralismo.

In questo senso, ad esempio, è facile leggere le motivazioni degli attacchi alla moschee in Francia e in Svezia. Il oro unico risultato è quello di esacerbare ulteriormente gli animi ed alimentare quella spirale che porta sempre più musulmani ad abbracciare la via dell’integralismo.

Un integralismo, si chiaro, che ha origini lontane, ben sponsorizzato ed alimentato non, come molti pensano dall’Iran, che è a maggioranza sciita, ma dai movimenti wahhabiti che fanno capo all’Arabia Saudita. Non a caso Bin Laden nasce in quell’ambiente e che i macellai di Charlie Hebdo si richiamino ad Al-Qaeda. La visione integralista di questa area culturale-religiosa giustifica anche l’uso di tradizioni secolari (secolari intese come non religiose) che integrano la legge coranica, imponendo una rigida separazione dei sessi, e chicche come il burka o il divieto di studiare per le donne (vedi quello che accade tra talebani e califfato islamico) o di guidare (come in Arabia Saudita).

Non è un caso se, mentre in Iran dove esiste una costituzione le donne accedono ad università, guidano e votano in Arabia Saudita la monarchia assoluta non è limitata da nessuna costituzione e le donne che osano guidare infrangendo il divieto vengono arrestate e processate come terroriste (fatto reale).

Le generalizzazioni, quindi, portano a considerare movimento univoco qualcosa che non è definibile in tale maniera.

è però innegabile che esista una crescente presenza di estremisti di matrice islamica che portano la visione dell’islam agli estremi attuali, ed è vero che le moschee in europa sono i luoghi principali ove avviene il reclutamento, del resto molte di queste sono finanziate da movimenti wahhabiti che hanno una certa connivenza culturale con i fenomeni più estremisti.

Fossero queste le basi della analisi forse si potrebbe incominciare a ragionare in termini di contromisure, in quanto la lotta all’estremismo integralista, di qualsiasi matrice esso sia, non può non partire da considerazioni culturali e dalla comprensione reale del fenomeno.

In questo senso, sono articoli come quello del il Giornale di oggi a cura di Giuseppe de Bellis

giornale

che mi trovano in totale disaccordo. (per contrappeso vi suggerisco di leggere anche questo articolo di Sciltian Gastaldi che offre un approccio esattamente duale alla questione: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/08/charlie-hebdo-dilemma-delle-riformiste-moderate/1322274/)

Indicare in un Islam generico il nemico non vuol dire esserne connivente.

Non si tratta di buonismo, quando si cercano distinguo, ma di comprendere la natura del fenomeno per affrontarlo in maniera coerente e corretta. Questa è una guerra che non si può vincere solo con le armi, anzi le armi servono ad alimentarla.

La radicalizzazione dello scontro serve solo ad alimentare lo scontro stesso, ma questo in realtà è proprio quello che le frange radicali di entrambe le parti vogliono: è in fatti nello scontro e nella radicalizzazione che trovano le ragioni del loro sostentamento sia politico che economico.

Purtroppo la ragione ha sempre la peggio, perché richiede uno sforzo di comprensione e un dialogo con la controparte che, come ci rammenta Calderoli, è sbagliato.

Oggi anche coloro che avevano invocato la censura su Charlie Hebdo non per le vignette sull’Islam, ma per quelle sui cristiani e sulla gerarchia ecclesiastica si dicono fautori della libera stampa e attaccano il mondo Islamico, ma senza un minimo di autocritica queste parole suonano vuote e sterili. Se si avesse la decenza di dare a Cesare quello che è di Cesare allora si potrebbe ricordare che quando la rivista satirica francese pubblicò le famose (o famigerate) vignette su Maometto non lo fece perché fosse concorde con il loro contenuto, ma perché la redazione non poteva accettare che si facessero discriminazioni contro la libertà di stampa ed espressione che loro consideravano assoluta. Loro di sinistra avevano dato ospitalità a vignette “di destra” perché sopra tutto vi era il diritto laico di poter parlare di tutto e tutti senza dover essere giudicati, uno spirito ben lontano dal gesto di Calderoli che mostrò la maglietta con una vignetta incriminata non a difesa della libertà di stampa, ma per aperta e dichiarata accettazione del sottointeso messaggio islamofobo che quelle vignette volevano comunicare.

Intanto Boko Haram (significa “l’educazione occidentale è proibita”), ufficialmente chiamato Jama’atu Ahlis Sunna Wal-Lidda’Awati Jihad (persone impegnate per gli insegnamenti del Profeta per la propagazione e la Jihad) ha compiuto l’ennesima efferata terribile strage uccidendo altri mussulmani e non con lo scopo di creare un altro califfato sulla scia dell’ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant) e di quello che vorrebbe creare Al-Quaeda: tutti provenienti dalla stessa matrice religiosa, tutti impegnati ad uccidere indifferentemente persone di qualsiasi credo che non sia il loro.

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