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mercoledì 4 novembre 2009

Ora è ufficiale: faccio parte di una minoranza discriminata

La ultima sentenza europea sul crocifisso in classe mi ha mostrato, una volta di piu, che in Italia la cittadinanza non da adito, per se, ad un rispetto omogeneo delle prerogative morali e religiose.

Non potendo entrare nel merito giuridico della decisione, non avendo letto il dispositivo della sentenza, mi sento però in grado di fare alcune osservazioni sulle reazioni sentite in giro.

Premetto che faccio parte di una minoranza, sono un italiano agnostico, in un paese di profonde radici cattoliche che sarebbe assurdo non vedere. Ma faccio parte anche di uno stato laico che, in carta costituzionale, garantisce a tutti i cittadini libertà di culto e professa uguaglianza  ed uguali diritti indipendentemente dalle preferenze politiche, religiose, di censo o sessuali di sorta.

La sentenza afferma in modo diretto ed inequivocabile che esiste, in Italia, un comportamento discriminatorio nei confronti di sensibilità religiose diverse da quella prevalente (la cattolico-cristiana) che potrebbero, quindi,  sentirsi prevaricate di fronte a simbologie religiose cristiane imposte in aree di pertinenza laica.

La risposta a tale osservazione legittima e vieppiù ovvia (infatti non ci troviamo di fronte ad una presenza sincretica di piu simbologie religiose ma ad una di identità precisa), provoca delle reazioni contrastanti e, per molti versi, curiose.

Nell’ordine la prima perplessità mossa è il fatto che tale sentenza viene percepita come una indebita intromissione negli affari interni di uno stato. la osservazione è di per se risibile, la unione europea è stata campo di adesione volontario ed ad essa si è volontariamente demandata parte della sovranità nazionale. Questa cosa è imprescindibile dal concetto di europa, il demandare parte di diritto di sovranità è componente essenziale di qualsiasi accettazione di organi di governo sovranazionali. è una condizio sine qua non, non possiamo chiedere all’euuropa se, contestualmente, non doniamo.

la seconda grande parte dei commenti fa riferimento al fatto che la cultura prevalente è, nei fatti, cattolica e quindi la presenza del crocifisso nelle scuole fa riferimento non ad un presunto tentativo di proselitismo ma ad una normale rappresentazione delle abitudini del paese.

Vorrei, da questo punto di vista, però chiarire il punto ed il senso della vicenda. il tutto nasce da una richiesta formulata dalla madre di uno studente che, sentendosi discriminata dalla presenza del crocifisso in quanto atea o agnostica (in questo senso le notizie giornalistiche non sono state esaustive, pur essendo le due posizioni abbastanza diverse dal punto di vista concettuale), ne ha chiesto la rimozione.

A seguito di una risposta negativa utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla nostra legislazione la signora ha proseguito quella che riteneva una sua battaglia di diritto.

Ora il problema che sorge è: se la signora in questione si sentiva discriminata dalla presenza del crocifisso, perche la sua sensibilità è di minor importanza della prevalente? Esiste un diritto di superiorità nei confronti del cristianesimo? Questo in uno stato laico (ancorchè non laicista come quello francese che rigetta, in ambito pubblico, tutte le espressioni religiose demandandole rigidamente alla sfera privata) non dovrebbe eessere ammissibile. La sensibilità di un laico e di un cattolico sono, o almeno dovrebbero essere, uguali di fronte alla legge.

Ma cosi non è sentenzia il tribunale europeo che ravvisa, nel rifiuto da parte delle istituzioni italiane, di rispettare la legittima richiesta di una cittadina di non vedere prevaricata la sua sensibilità un atto discriminatorio, aggravato, aggiungo a mio personale titolo, dal fatto che compiuto nei confronti di una minoranza.

Ora la unica osservazione che troverei accettabile è inerente la risoluzione del conflitto tra chi ritiene offensiva la assenza di tale simbolo religioso in una aula pubblica.

Da questo punto di vista però risulta evidente come, essendo lo stato italiano laico, in caso di conflitto tra chi chiede la introduzione di un simbolo religioso e chi non la chiede si debba dare, per rispetto alle altre minoranze, ragione a chi chiede la rimozione del simbolo specifico. Cerchiamo di chiarirci: non si chiede la rimozione della fede cristiana ed i suoi simboli in maniera indiscriminata ma si dice:

1) se siamo in uno stato laico

2) e siamo in un luogo pubblico ove tale stato esercita le sue funzioni

in caso di conflitto sulla permanenza di un simbolo religioso questo debba essere rimosso per rispettare la sensibilità di chiunque a questo stato fa riferimento e da cui si aspetta paritetico interesse e rispetto.

Non si discute quindi il crocifisso per se ne come simbolo di una cultura prevalente ma si dice, in caso qualcuno sollevi obiezione di sorta questo va tolto per rispetto istituzionale delle diversità di credo.

Vi sono poi le espressioni piu colorite, che sono la maggiornaza dei commenti che si raccolgono per strada, sul fatto che bisogna fermare questi extracomunitari che vogliono comandare da noi e noi non imponiamo a loro di costruire chiese perchè ci vogliono imporre le moschee…etc etc (voci raccolte tra mamme che perlavano della vicenda fuori dalla scuola…vox populi).

Di fronte a questa colorita e variegata distribuzione di “nonsense” non si puo fare a meno di sollevare un amaro sorriso e chiedersi in che direzione la nostra cultura si stà muovendo.

A parte le considerazione che la vicenda nulla ha a che fare con l’islam, ma è stata mossa da una cittadina italiana di orifine finlandese (sic), questi commenti sono uno specchio di come la discussione culturale in Italia sia oramai ristagnata a livello di tifo calcistico e poco oltre. Dando al tifo calcistico il dovuto e superiore rispetto che merita di fronte a espressioni di bassa xenofobia e velato maldestro razzismo.

La realtà dei fatti è che una maggiore apertura e gestione flessibile di alcuni aspetti della ingerenza religiosa nel nostro paese sarebbe auspicabile anche, e sopratutto, da parte cattolica per preservare il valore spirituale di alcuni aspetti e combattere una volagre secolarizzazione. Citare il cricifisso come semplice simbolo culturale e non religioso è solo in parte vero, e ne sminuisce il valore che dovrebbe avere dal punto di vista spirituale per i veri cattolici.

L’Italia è un paese di forte tradizione cattolica: ne siano dimostrazione i tempietti che si trovano agli angoli delle strade con rappresentazioni sacre, la capillare distribuzione di chiese ed altri simboli religiosi. Possibile che la fede di questi cristiani sia cosi flebile e labile da vacillare se confrontata con la esigenza di un laico o di un appartenente ad una altra confessione di veder rispettata la sua sensibilità?

Possibile che l’affermazione della propia identità debba essere sostenuta tramite la prevaricazione arbitraria della minoranza non allineata?

Il senso della democrazia allora quale è? Se non sono cattolico non sono italiano? Anche se nato in Italia da genitori italiani, i cui genitori erano a loro volta italiani e cosi via, la mia italianità è legata in maniera inequivocabile al mio credo religioso o politico? E se cosi, mi auguro, non è quali sono i limiti di uno stato laico nei confronti della interferenza della sfera religiosa? Può uno stato laico impormi un simbolo religioso?

La questione è, in realtà, estremamente complessa e le ripercussioni sono molto piu ampie di quanto una semplice sentenza su di un crocifisso possa far apparire. Peccato che un argomento serio che meriterebbe la attenzione culturale corretta venga svilito in commenti e osservazioni vuote.

AI