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lunedì 24 aprile 2023

IT vs OT vs Sicurezza: convivenza possibile?

Qualche settimana fa ho partecipato ad un interessante evento per CISO. Al di la dell’argomento (per altro estremamente interessante) la cosa simpatica è stata poter discorrere senza vincoli o freni. A tavola (e te pareva che non ne approfittavo per mangiare gratis 🙂 ) tra una chiacchiera ae l’altra si è iniziato a discorrere del difficile rapporto che corre tra il mondo OT ed IT, e di questi con la sicurezza dell’informazione nei suoi vari domini.

è sempre interessante sentire i vari punti di vista e le varie esperienze dalla voce dei protagonisti della nostra vita digitale, ed è interessante come spesso vi sia una comunità di esperienze che ci permette di definire lo stato (povero) della digitalizzazione in Italia.

IT vs OT il peccato originale.

Dall’osservatorio di un CISO è innegabile che OT e IT siano mondi diversi, che usano linguaggi diversi, con diverse esigenze e diverse metriche. Anche i tempi di vita degli oggetti che “vivono” nel mondo OT sono profondamente diversi da quelli che vivono nel mondo IT.

Criticità diverse, lingue diverse, metriche diverse non possono portare ne ad una facile convivenza ne a una facile comunicazione. Il risultato è una estrema diffidenza tra i due mondi, con l’OT che vede nel suo isolamento una forma di salvaguardia dall’invadenza dell’IT. Purtroppo, come già successe ai difensori dei mainframe, il mondo IT ha aumentato la sua pervasività nel mondo IT rompendo un “felice” isolamento che aveva reso i due mondi due cose diverse.

Il mantenimento di posizioni difensive da parte del mondo OT rispetto al mondo IT è comprensibile, ma occorre anche ammettere che il mondo OT si è sviluppato prima ma su esigenze e perimetri estremamente ristretti. L’accesso riluttante di componenti IT in questo mondo ha però aperto una finestra su una evidenza poco amata dall’OT: la senescenza di infrastrutture informatiche progettate senza un reale approccio di sicurezza by design e by default il cui cardine di sicurezza è sempre stato basato sull’isolamento e da un approccio security by oscurity.

Purtroppo questo approccio si è dimostrato, sempre più negli ultimi anni, insufficiente a garantire la sicurezza del mondo OT. Attacchi informatici verso strutture OT si sono moltiplicati con risultati economicamente importanti e non vi sono indicazioni che questo trend sia in diminuzione, anzi.

I criminali informatici non amano rinunziare a potenziali stream di monetizzazione una volta individuati, e la fragilità di molti sistemi OT sulle nuove tecniche di attacco in uso da queste organizzazioni è un canale interessante.

Questa vulnerabilità non è data solo dalla pervasività di sistemi IT nel campo OT, ma anche a fragilità specifiche di sistemi disegnati al di fuori di moderni parametri di sicurezza, non fosse altro per l’età di questi sistemi.

In questo dualismo però l’IT non è senza colpe, se la pervasività è un fatto, cosi come la apertura, la comprensione delle esigenze specifiche dell’OT non è altrettanto diffusa. Il risultato è che l’IT ha replicato, o cerca di replicare, i propri modelli operativi in un ambito differente.

Avendo i due mondi linguaggi diversi, metriche e spesso linee di riporto diverse la comunicazione risulta estremamente difficile e la resistenza tra i due mondi è ancora molto elevata

La sicurezza un ospite incomodo

Dall’osservatorio del ciso esiste però un comune nemico comune sia di OT che di IT, la cui pervasività è percepita come un peso e non come un fattore abilitante al business: la sicurezza dell’informazione.

Infatti la sicurezza o è vista come un sottoinsieme del mondo IT, cosa che alimenta la diffidenza del mondo OT nei sui confronti, o un elemento estraneo a tutto tondo da entrambe.

Ho già parlato in passato del fatto che la sicurezza della informazione è campo diverso dall’IT sia in termini di copertura (la cyber security è solo uno dei domini di riferimento) che in termini logici di indipendenza, controllato e controllore non possono coesistere e, in particolare, non può il controllore (la sicurezza) dipendere dal controllato per ovvi conflitti di interesse. la uscita della sicurezza dell’informazione dal dominio IT ha portato da parte dell’IT una “inimicizia” e la rottura di un rapporto nei confronti di chi si occupa di sicurezza, visto come un ulteriore peso, assieme a compliance.

Le ragioni della inimicizia di IT e OT nei confronti della sicurezza in realtà hanno ragioni più profonde: sistemi disegnati senza tener conto della sicurezza si vedono scoperti proprio nel loro punto di orgoglio, il design. Questo ha portato spesso l’IT (e inizia a vedersi il fenomeno anche nell’OT) a proiettare sulla sicurezza problematiche di design che non competono strettamente alla sicurezza.

Non è possibile pensare che la sicurezza dell’informazione, nei suoi vari domini, assolva a correttore di errori di design ed implementazione, processi incompleti o fallaci, digitalizzazione mal gestita e mal progettata. Eppure, spesso, questa è la richiesta che arriva alla sicurezza quella di coprire, con il proprio budget, errori di design e processo che sono, in realtà, attribuibili ad IT ed OT.

Come è facile immaginare questa “tensione” tra le diverse anime fa leva su questioni economiche e politiche interne all’organizzazione che non sono ne di facile ne di immediata risoluzione.

La percezione della sicurezza informatica come “ostacolo” alle attività di business e non di facilitatore (analogo discorso si può dire per le esigenze di compliance) in realtà è legato al fatto che sicurezza e compliance non sono considerate “ab initio” nel disegno delle infrastrutture ma chiamate ex post a coprire problematiche. Il concetto di disegnare infrastrutture e processi con “privacy e security” inserita “by design” e “by default” è ancora su carta più che reale. E il “business” inteso come la infrastruttura aziendale esterna a IT ed OT non ha competenze o comprensione delle problematiche se non a livello embrionale.

Esempi virtuosi, intendiamoci, ci sono ma sono eccezioni e non la norma. E quando ci sono l’azienda si ritrova un vantaggio competitivo in quanto aumenta la efficienza operativa e riduce i costi di gestione a fronte di un maggiore modesto costo iniziale.

Il prima, l’adesso e il domani

Se il futuro si può considerare da scrivere esiste il problema del pregresso e della gestione del corrente.

Sul passato si può intervenire solo in modalità reattiva, ovviamente, cercando di porre in atto processi e tecnologie che consentano la copertura di sicurezza delle aree più a rischio. Esistono esigenze varie da analizzare, in questo senso mi vengono in mente la microsegmentazione, il controllo degli accessi remoti da parte di operatori esterni, l’accesso remoto in modalità zero trusted, il controllo e monitoraggio di identità e attack pathway.

Per il presente si può pensare alla pianificazione della gestione delle risorse iniziando a definire metriche che aiutino le varie anime della azienda a condividere un approccio risk based che permetta di indirizzare le risorse in maniera più efficiente.

Per il futuro invece occorrerà prima o poi aprirsi ad una collaborazione tra i diversi stakeholder che condividano le esigenze e sappiano sviluppare tecnologie e processi in maniera efficace ed efficiente.

Esiste una soluzione?

La possibilità di riconciliare 6 anime (IT, OT, Sviluppo, Sicurezza, Compliance e Business) pur nella dinamica competitiva delle rispettive esigenze (il budget non è infinito e gli interessi vanno mediati) esiste quando si crea un ponte di comunicazione tra i diversi attori. Questa comunicazione è un elemento che non si crea “a tavolino” o “su carta, ma richiede la effettiva condivisione di attività operative e progetti. Far lavorare in gruppi di lavoro congiunto con obiettivi definiti e misurabili i vari elementi consente di definire una lingua comune che prelude a metriche compatibili e comprensibili.

Ovviamente questo richiede un commitment aziendale forte e una accettazione della sfida da parte dei vari stakeholder che devono accettare di essere “misurati” su questi obiettivi.

Modestamente mi permetterei di suggerire come primo possibile strumento il “cyber range” inteso come esercizio che consideri la attiva e fattiva partecipazione di tutti i vari stakeholders. Come esercizio di “sicurezza” la “simulazione realistica” di un attacco con le relative conseguenze permetterebbe ai vari soggetti di iniziare a capire le conseguenze delle scelte effettuate e di ripensare ad un futuro più ottimizzato. In questo senso la sicurezza potrebbe offrire alla azienda uno strumento di crescita e di creazione di ponti di comunicazione tra le sue diverse anime con la comprensione di cosa potrebbe accadere a causa di un problema di attacco alle infrastrutture (IT) in termini produttivi (OT) e quindi di business, all’immagine (MKTG e comunicazione) e alle ricadute economiche (finance) e legali.

Del resto il problema non è “se” qualcosa andrà male ma “quando”

Dati e persone, un binomio indissolubile da considerare.

Antonio Ieranò, Evangelist cyber Security Strategy, Proofpoint

Nella visione tradizionale, quando pensiamo alla protezione dei dati e alla sicurezza dell’informazione, si tende a considerare le attività di gestione del dato come attività svolte all’interno di un perimetro ben definito e, per questo, con una certa sicurezza intrinseca. Vincoli fisici di accesso alle risorse offrono alcuni livelli di protezione, sia fisica che informatica, spesso considerati robusti.

Nella realtà il passaggio globale a modelli di lavoro ibridi, forzato anche da concause esterne, ha modificato sensibilmente l’ambiente di riferimento che dobbiamo considerare quando si parla di sicurezza dell’informazione. Gli ultimi due anni e mezzo hanno visto decollare le opzioni di lavoro a distanza, il che a sua volta ha aumentato le potenziali superfici di attacco per un’organizzazione. Con un maggiore utilizzo di piattaforme cloud e di collaborazione, le persone sono ora più che mai la più grande superficie di attacco e sono particolarmente vulnerabili lavorando al di fuori della presunta sicurezza dei loro uffici aziendali.

Le reti domestiche non sono protette come le reti dell’ufficio, i dispositivi possono essere condivisi con altri e spesso sono ad uso promiscuo (lavoro e personale). I dati ed i sistemi aziendali sono ora accessibili “in cloud” oltre che nei tradizionali datacenter, e la moltiplicazione di percorsi esterni per accedere ai sistemi e risorse aziendali rappresenta un enorme pericolo. Offre agli attori delle minacce più modi per entrare, ma rende anche più difficile tracciare ciò che i lavoratori stanno gestendo.

Inoltre, le organizzazioni stanno creando e spostando più dati che mai. Ciò a sua volta crea nuove forme di rischio per la sicurezza per le aziende, rendendo difficile capire quando i dati sono a rischio, quale sia il loro valore effettivo e, di conseguenza, implementare i controlli appropriati per mitigare il rischio.

Quindi, come possono le organizzazioni affrontare queste sfide relativamente nuove per la sicurezza dei dati?

Alle prese con rischi aziendali più ampi

La forza lavoro decentralizzata accelera anche i rischi incentrati sulle persone, rendendo la protezione dei dati molto più difficile. Nel 2022, il costo totale medio globale di una violazione dei dati ha raggiunto il massimo storico di 4,35 milioni di dollari, secondo il Cost of a Data Breach Report di IBM Security. Secondo il rapporto, il lavoro a distanza è in parte responsabile dell’aumento dei costi. Il rapporto ha rilevato una “forte correlazione” tra il lavoro remoto e il costo delle violazioni dei dati. Le violazioni, in cui il lavoro a distanza era un fattore, costano in media 1 milione di dollari in più. 

Le informazioni di identificazione personale (PII) dei clienti sono il tipo di record più costoso compromesso in una violazione dei dati. E questi dati sono preziosi per gli attori delle minacce per furti finanziari, frodi e altri crimini informatici, il che significa che le minacce continueranno a colpire questo tipo di dati e le autorità di regolamentazione continueranno ad aumentare la pressione sulle organizzazioni per proteggerli meglio.

Il regime normativo in continua espansione è uno dei fattori che fanno aumentare i costi delle violazioni dei dati (si pensi al GDPR) e la necessità di una migliore governance dei dati.

Un solido programma di governance dei dati deve riconoscere questo ambiente in evoluzione e considerarne le implicazioni rispondendo a domande fondamentali, come ad esempio:

  1. Dove vengono archiviati i tuoi dati?
  2. I tuoi dati sono protetti o regolamentati?
  3. Come vengono utilizzati questi dati?
  4. Chi vi ha accesso?
  5. Come vengono protetti questi dati?
  6. Come vengono trasmessi alle terze parti coinvolte?

La sfida Insider

I dati non si perdono ne escono da soli. Le persone perdono dati perché sono le persone che vi accedono. Il dato non sparisce per sua volontà: viene rubato da un utente malintenzionato esterno che si sia impossessato di credenziali di un utente aziendale, perso a causa di un utente negligente o preso da un dipendente malintenzionato, spesso a un concorrente. È importante, ora più che mai, proteggersi dalle minacce interne.

Il nostro recente Voice of the CISO Report 2022 ha infatti rivelato che il 31% CISO hanno citato le minacce interne – negligenti, accidentali o criminali – come la minaccia più significativa per la loro organizzazione nei prossimi 12 mesi.

Inoltre, i recenti risultati di Proofpoint e del Ponemon Institute mostrano che, indipendentemente dal fatto che si tratti di negligenza o dolo, le minacce interne costano alle organizzazioni 15,4 milioni di dollari all’anno, in aumento del 34% rispetto al 2020, quando la pandemia ha colpito.  

Per calare la questione in termini italiani si faccia riferimento a questi dati:

  • Il 63% delle organizzazioni italiane ha subito un tentativo di attacco ransomware nell’ultimo anno, con il 44% che ha subito un’infezione riuscita. Solo il 38% ha riottenuto l’accesso ai propri dati dopo aver effettuato il pagamento iniziale del ransomware.
  • Il 39% delle organizzazioni italiane ha riferito di aver subito perdite di dati a causa di un’azione interna nel 2022.
  • Il 18% dei dipendenti italiani ha cambiato lavoro nell’ultimo anno.  Tra coloro che hanno cambiato lavoro, il 42% ha ammesso di portare con sé i dati.

Molte organizzazioni hanno dovuto riorientare i loro sforzi tecnologici e di sicurezza dagli ambienti di lavoro on-premise a una forza lavoro completamente remota, con il risultato di una miriade di nuovi problemi che devono essere affrontati. Aver adottato strategie di digitalizzazione pensate per un ambiente “chiuso” in un ambito aperto e diffuso come quello attuale ha ulteriormente indebolito i perimetri difensivi del dato, esposto a processi non sempre compatibili con la nuova realtà.

Anche se non possiamo attribuire l’aumento complessivo delle minacce interne a un singolo fattore, il passaggio al lavoro da qualsiasi luogo i sempre più frequenti cambi di lavoro hanno entrambi esacerbato questi rischi. Non c’è dubbio che una forza lavoro dispersa crei una maggiore dipendenza dal cloud, una superficie di attacco significativamente più ampia e un indebolimento della visibilità e dell’efficacia dei controlli di perdita di dati legacy. Inoltre, è più facile che mai condividere ed esporre grandi quantità di informazioni sensibili, sia con noncuranza che con dolo.

Affrontare la sfida dei dati ibridi

Mentre la maggior parte delle aziende è ormai ben abituata al mondo post-pandemia, molte politiche e procedure non sono ancora aggiornate. I controlli in atto per proteggere i dati, ad esempio, sono stati costruiti principalmente attorno alle pratiche di lavoro tradizionali che spesso prevedono passaggi “cartacei” non replicabili remotamente se non con stampa e re-digitalizzazione del documento processato con la relativa moltiplicazione del rischio di esposizione di dati sensibili.

In molti casi, le soluzioni tradizionali di protezione dalla perdita di dati (DLP) si sono concentrate su strumenti e perimetri progettati per mantenere le informazioni sensibili all’interno di un ambiente “chiuso” e gli attori malintenzionati fuori. Questo approccio legacy alla DLP si è concentrato sui dati in uso, in movimento e a riposo, senza molto contesto al di fuori di questo.

Tuttavia, con molte persone che ora operano al di fuori delle tradizionali attività d’ufficio, gli atteggiamenti, i comportamenti e i modi di lavorare sono cambiati. E con esso, anche il modo in cui accediamo e interagiamo con i dati è cambiato. Questo nuovo modo di lavorare richiede un nuovo modo di proteggere i nostri dati sensibili sia dall’esterno che dall’interno. Uno che ponga molta più enfasi sulle persone piuttosto che solo su strumenti e controlli.

Mentre le politiche e le procedure possono essere in ritardo nel nuovo ambiente di lavoro ibrido, lo stesso non si può dire dei criminali informatici. Gli attori delle minacce non hanno perso tempo, prima capitalizzando l’interruzione causata dalla pandemia e ora affinando le loro esche per colpire gli utenti in ambienti nuovi e potenzialmente meno sicuri. E continuano a prendere di mira le persone, ovunque lavorino. 

Soluzione DLP tradizionali possono individuare attività sospette, ma non forniscono alcuna consapevolezza comportamentale prima, durante o dopo il movimento rischioso dei dati e offrono poco in termini di analisi dei comportamenti rischiosi degli utenti. In altre parole, gli strumenti legacy non possono aiutarti a rispondere al contesto di “chi, cosa, dove, quando e perché” dietro un avviso. Il risultato è un sovraccarico dei team di sicurezza e una visione minima dell’attività reale.

Una moderna soluzione DLP può aiutare a risolvere questo problema. Può aiutare i team IT a individuare e revocare rapidamente app dannose di terze parti e bloccare attori malevoli noti, indirizzi IP dannosi che potrebbero portare alla compromissione dell’account, account potenzialmente già compromessi.

Una soluzione moderna deve adattare costantemente il rilevamento, la prevenzione e la risposta al livello di rischio di un utente e alla sensibilità dei dati a cui accede.

Persone, processi e tecnologia

Una solida strategia per i dati deve includere una combinazione di persone, processi e tecnologia.

Sebbene sia fondamentale mettere in atto i controlli tecnologici corretti, il personale è ancora al centro di qualsiasi potenziale perdita di dati. Sono quelli con accesso privilegiato alle tue reti. Sono quelli che inseriscono le loro credenziali nei tuoi sistemi. Inoltre, con oltre il 90% degli attacchi informatici che richiedono l’interazione umana, sono quelli che hanno maggiori probabilità di esporre i tuoi dati ai criminali informatici.

Ecco perché una moderna soluzione DLP deve tenere conto del comportamento umano, sia in ufficio o fuori.

Sfortunatamente, questo non è il caso di molti sistemi legacy. La maggior parte vedrà qualsiasi comportamento anomalo (ma magari giustificato o obbligato dal contesto in cui opera l’utente) come una bandiera rossa istantanea, che influisce sull’esperienza utente e costa tempo prezioso ai team di sicurezza.

In un momento in cui le pratiche di lavoro “normali” possono significare cose diverse da un giorno all’altro, questo approccio non è più adatto allo scopo. Gli ambienti di lavoro remoti e disparati necessitano di soluzioni in grado di monitorare e prevenire in modo proattivo la perdita di dati tra gli endpoint, tenendo conto del comportamento degli utenti, dell’accesso al cloud e delle app di terze parti.

E tali protezioni adattabili sono solo una parte di un’efficace prevenzione della perdita di dati. Questo approccio incentrato sulle persone deve estendersi anche al tuo programma di formazione. Tutti gli strumenti e i controlli del mondo non bastano da soli. La protezione totale dalla perdita di dati richiede una formazione continua, mirata e adattiva sulla consapevolezza della sicurezza. Formazione che non lascia dubbi sugli utenti sul ruolo che possono potenzialmente svolgere nel ridurre il numero e l’impatto degli attacchi informatici.

Per implementare tutto questo, quindi, non basta solo inserire una “tecnologia salvifica” ma occorre ragionare per livelli adattando le esigenze di sicurezza alle richieste del business, integrando il programma di governance dei dati alle pratiche di sicurezza ed ai processi di compliance.

Un approccio a più livelli consente di passare dallo sviluppo e dalla definizione del programma di governance dei dati alla sua manutenzione e ottimizzazione.

La scoperta, la prima fase di questo approccio, comporta la definizione del controllo iniziale. È qui che si eseguono passaggi quali la qualificazione delle leggi e dei regolamenti applicabili all’organizzazione, la definizione della strategia di protezione dei dati in base ai cicli di vita dei dati, l’identificazione degli utenti a più rischio, l’individuazione dell’impronta digitale, la configurazione dell’inventario globale e l’indicizzazione dei dati.

Nella seconda fase (rilevamento), si sviluppano funzionalità di controllo ottenendo contesto per tutte le attività, l’intento e l’accesso dell’utente; identificare account compromessi e utenti di phishing; e la classificazione di dati sensibili o regolamentati. Stai anche adottando misure per tenere traccia degli incidenti e raccogliere e acquisire dati da tutte le tue fonti.

Infine, l’ultima fase (applicazione) riguarda la crescita delle capacità di controllo completo, come la rimozione di dati da posizioni non sicure, la messa in sicurezza dello scambio dei dati con terze parti, l’applicazione di protezioni dei limiti dei dati, l’implementazione della supervisione completa della conformità e così via.

Suddividendo tutte le grandi domande in passaggi più piccoli e attuabili, stai creando un approccio programmatico che ti aiuta a proteggere i dati in base ai rischi più elevati e ti offre il miglior ritorno sull’investimento. È importante valutare continuamente l’efficacia del programma e ottimizzarlo. Il tuo ambiente è dinamico e le tattiche delle minacce cambiano costantemente.

I criminali informatici di oggi sono in continua evoluzione, prendendo di mira minacce nuove e sofisticate direttamente alle persone. Anche le nostre difese devono evolversi. In caso contrario, questa è una corsa agli armamenti che non possiamo vincere.

martedì 7 febbraio 2023

Information security o Cyber security?

Istigato dal buon Alessandro Bottonelli, mio correo in #quellidelfascicolop mi è venuta voglia di puntualizzare un problema di nomenclatura che mi sta a cuore.

I termini Cyber ​​Security e Information Security sono spesso usati in modo intercambiabile. Entrambi sono responsabili della sicurezza e della protezione del sistema informatico da minacce e violazioni delle informazioni e spesso la sicurezza informatica e la sicurezza delle informazioni sono così strettamente collegate che possono sembrare sinonimi e, sfortunatamente, vengono utilizzate come sinonimi.

Se parliamo di sicurezza dei dati, si tratta di proteggere i dati da utenti malintenzionati e minacce. Ora qual è la differenza tra dati e informazioni?

Un punto importante è che “non tutti i dati possono essere informazioni” i dati possono essere informati se vengono interpretati in un contesto e gli viene dato un significato. Ad esempio “250865” è un dato e se sappiamo che è la data di nascita di una persona (la mia) allora è un’informazione perché ha un significato. Quindi informazione significa dati che hanno un significato.

Qual è la differenza tra la information security (sicurezza delle informazioni) e la cyber security (sicurezza informatica)?

La sicurezza delle informazioni e la sicurezza informatica sono campi correlati ma distinti che si concentrano sulla protezione di diversi aspetti dei sistemi informativi e tecnologici di un’organizzazione.

La sicurezza delle informazioni è un campo ampio che comprende tutti gli aspetti della protezione delle informazioni e dei sistemi informativi di un’organizzazione da accesso, uso, divulgazione, interruzione, modifica o distruzione non autorizzati.

I pilastri su cui si basa sono ovviamente:

  • confidentiality
  • integrity
  • availability

cui occorrerebbe aggiungere

  • non repudiation
  • authenticity
  • accountability

La sicurezza delle informazioni include la protezione delle informazioni sensibili, come i dati personali e le informazioni finanziarie, nonché i sistemi e i processi utilizzati per archiviare, trasmettere ed elaborare tali informazioni. All’interno della sicurezza delle informazioni ricadono quindi anche aspetti legati alla protezione del dato sia questo digitale che analogico.

Esempi e inclusione della sicurezza delle informazioni sono i seguenti:

  • Controlli procedurali
  • Controlli di accesso
  • Controlli tecnici
  • Controlli di conformità

La cyber security, d’altra parte, è largamente un sottoinsieme della sicurezza delle informazioni che si concentra specificamente sulla protezione dei sistemi tecnologici e dei dati di un’organizzazione da attori malintenzionati nel cyberspazio. Ciò include la protezione da attacchi di rete, violazioni dei dati e altri tipi di criminalità informatica. La sicurezza informatica include anche la protezione delle infrastrutture critiche, come centrali elettriche e sistemi finanziari, dagli attacchi informatici che espande il perimetro rispetto la Information security.

Esempi e inclusione della sicurezza informatica sono i seguenti:

  • Sicurezza della rete
  • Sicurezza delle applicazioni
  • Sicurezza nel cloud
  • Infrastrutture critiche

In sintesi, la sicurezza delle informazioni è un campo ampio che comprende tutti gli aspetti della protezione delle informazioni e dei sistemi informativi, mentre la cyber security si concentra specificamente sulla protezione contro le minacce e gli attacchi informatici. Entrambi sono importanti per garantire la sicurezza e l’integrità dei sistemi informatici e tecnologici di un’organizzazione.

vi torna?

ciao

giovedì 15 giugno 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuol sapere: raschia raschia rimane il rischio ?

Ma se ti dico “rischio” tu che mi rispondi?

Er… no non intendo la sequela di insulti o le minacce più o meno velate a cu stai quasi sicuramente pensando, stavo cercando di parlare di GDPR…

No, no, GDPR non è una parolaccia, calmiamoci.

Insomma volevo solo chiedere che cosa associate alla idea di rischio indicata dal GDPR.

Ne parlo qui perché ultimamente ho avuto modo di vedere come molti non hanno bene chiaro cosa sia questo fantomatico rischio di cui si parla.

Allora cerchiamo di fare un poco di chiarezza ad un livello che persino io possa capire di cosa stiamo parlando, quindi estremamente basso.

Genericamente quando parliamo di rischio facciamo riferimento alla eventualità di subire un danno (più incerto di quello implicito in pericolo).

In termini estremamente generici questo significa dover analizzare una serie di cose associate ad un evento che comporti rischi:

  • la prima è: chi subisce il danno
  • la seconda è: l’entità del danno
  • la terza è: la probabilità che l’evento si possa verificare.

Il primo punto è fondamentale, i quanto il soggettooggetto del rischio determina pesantemente le altre due occorrenze sia in termini di valutazione quantitativa che qualitativa e quindi guida le scelte rivolte a ridurre, mitigare il rischio, trasferirlo o comunque gestirlo in toto o la sua parte residua.

Il secondo punto afferisce alla entità del danno. A seconda del tipo di rischio che stiamo analizzando l’entità viene solitamente parametrizzata attraverso valori di facile lettura, come ad esempio la perdita economica associata.

Il terzo punto va ovviamente ad indirizzare la esigenza di calcolare quante possibilità ci siano che l’evento infausto che causa il danno possa accadere. Laddove ci fosse la certezza non si parlerebbe di rischio e quindi le analisi di cui sopra sarebbero inutili e parleremmo, semplicemente, di pericolo.

L’analisi del rischio ci consente di mettere in atto quelle procedure e comportamenti che possano minimizzare gli effetti dannosi. Questo può essere effettuato attraverso diverse scelte NON mutuamente esclusive tra di loro.

Ad esempio:

  • Si può scegliere di indirizzare gli sforzi in direzione dell’abbassamento dell’entità del danno subito in caso di evento infausto
  • Si può scegliere altrimenti di indirizzare gli sforzi in direzione dell’abbassamento della probabilità che l’evento infausto possa accadere.

Potrebbe accadere che uno specifico evento si possa semplicemente eliminare dalla nostra tabella dei rischi a seguito delle azioni intraprese ma più spesso accade che i costi per l’eliminazione del rischio siano così alti che conviene invece accettare un rischio residuale.

Le azioni per abbassare il rischio possono essere ad esempio di mitigazione (vedi i due punti precedenti) o di trasferimento.

La soglia di accettabilità del rischio dipende ovviamente da valutazioni soggettive e oggettive e dipende dall’ambito di cui stiamo parlando.

Non esiste azione umana che sia esente dal rischio, ma la percezione e l’accettazione del rischio dipende ovviamente dal dominio cui stiamo facendo riferimento.

Ok ok ti sei annoiato con cose che sai benissimo meglio di me, anche se non sai di saperle (dopotutto tutti attraversano la strada e quindi gestiscono rischi….)

Torniamo al GDPR.

Il rischio in termini di GDPR è il rischio di danneggiare la privacy e le libertà fondamentali di un soggetto.

Usando i tre punti di cui si parlava all’inizio del mio sproloquio potremmo dire che:

chi subisce il danno è l’utenteutenti i cui dati personali vengono in qualche maniera indirizzati dall’evento in analisi (copia, cancellazione, modifica e via dicendo)

l’entità del danno è quanto l’utente possa essere danneggiato dall’evento specifico ed è, ovviamente, legato alla natura dei dati in oggetto e a quello che a questi dati è accaduto.

La probabilità che l’evento infausto possa accadere è invece legata ai processi in uso per la gestione dei dati raccolti.

Non facciamo i soliti errori per favore:

Innanzi tutto per poter implementare correttamente il GDPR occorre fare una valutazione del rischio implicito nella gestione dei dati personali, utilizzando come riferimento quello descritto sopra.

Chi deve fare queste valutazioni è chi si occupa di questa cosa. In ultima analisi spetta al responsabile dell’azienda utilizzando il DPO quando presente come fonte autorevole di indicazioni in merito.

Spetta al responsabile aziendale o “data controller” quindi decidere:

  • quale sia il rischio residuo accettabile
  • quale siano le azioni da intraprendere per mitigare, minimizzare i rischi legai al GDPR.

Questa cosa è di fondamentale importanza da capire. Nella nomenclatura del GDPR il Data controller o responsabile della gestione dei dati personali è la fonte delle decisioni. Il o i data processor pur condividendo una responsabilità operativa nella gestione della sicurezza del dato non sono responsabili delle scelte operate per proteggerli come tali.

Come a dire che non sta alle strutture IT decidere cosa fare, al più all’IT possono essere demandate le scelte implementative, una volta individuata la via di mitigazione che il “data Controller” ritiene più adatta ad abbassare la soglia di rischio fino ad un livello di rischio residuale accettabile, laddove queste richiedano una opzione tecnologica e non di processo.

Questa osservazione implica la comprensione di una cosa non sempre chiara in chi si occupa di GDPR:

il rischio in termini di GDPR è cosa diversa dal rischio di Business o dal rischio di Cyber Security.

Mescolare questi 3 domini assieme senza avere chiara a distinzione tra i 3 tipi di rischio comporta semplicemente l’indirizzamento verso scelte errate in quanto:

o non indirizzano la natura del rischio in oggetto (e quindi rappresentano una duplice voce di costo in termini di spese effettuate inutilmente e di rischio ancora presente)

o non mitigano correttamente tale rischio entro la soglia di accettabilità (rischio residuo accettabile).

o portano a scelte non ottimali e quindi più costose rispetto il necessario.

Purtroppo la non esatta comprensione del GDPR sta portando molte aziende a vedere la cosa solo in termini meramente tecnologici, associando il rischio GDPR al rischio tipico della Cyber Security. Questo rischia di far intraprendere alle aziende percorsi errati o eccessivamente onerosi.

Ma che differenza c’è?

Per capire la differenza tra un rischio di cyber security, di business e di uno legato al GDPR occorre pensare attentamente alla natura intrinseca del rischio in senso del GDPR.

Il GDPR si preoccupa delle libertà fondamentali dell’individuo espresse attraverso la difesa della sua “privacy”.

Ora prendiamo un paio di eventi esemplificativi dei domini di Cyber Security: DoS (Denial of Service) e attacco Ransmomware.

L’attacco  dDos

In caso di attacco DoSdDoS che blocchi una struttura, siamo in presenza di un evento dannoso che potrebbe impattare il business di una azienda nel caso colpisca, ad esempio, una interfaccia di e-commerce o una di mera presenza marketing online.

Dal punto di vista del business a seconda della interfaccia impattata le valutazioni di rischio potrebbero essere diverse ma potremmo dire che, se siamo in presenza di un attacco su di una interfaccia di E-commerce l’impatto (ed il rischio) è alto mentre in caso di una interfaccia di puro marketing potrebbe essere di medio livello

Dal punto di vista meramente Cyber, un attacco Dos è tanto più grave quanto maggiore sia la probabilità che esso avvenga e che impatti diverse strutture. In caso di un attacco ad un servizio online di E-commerce siamo in presenza di tutti gli elementi per definirlo un rischio elevato (probabilità, impatto, facilità di attacco….), ma la stessa analisi vale per un sito marketing. Dal punto di vista cyber quindi abbiamo valutazioni discordanti rispetto a quello di business.

Ora se ci mettiamo nei panni del GDPR in entrambi casi il rischio di esposizione dei dati dell’utente sono minimi o nulli, dono quindi in entrambi i casi eventi di basso rischio in termini di GDPR che potrebbero quindi essere considerati accettabili in termini in di rischio residuale.

 

L’attacco Ramsonware

Ricordate wannacy? Giusto per nominare l’ultimo?

In caso di business gli effetti di un ransomware che attacchi, ad esempio, le strutture di billing potrebbero essere disastrose, mentre l’attacco ad una serie limitata di PC potrebbe essere ininfluente.

Dal punto di vista Cyber invece la probabilità di attacco ad un terminale di un utente è più alta, e potenzialmente potrebbe dare adito ad attacchi diffusi interni, ne consegue che dal punto di vista cyber ci si potrebbe attendere addirittura una valutazione più alta di rischio sul pc dell’utente che sul sistema di billing.

Dal punto di vista del GDPR se sono in piedi processi che consentano il recupero dei dati in tempi accettabili (non è richiesta la immediatezza) un ransomware presenta un livello di rischio medio ed addirittura basso nel caso di un sistema di billing che tenga le anagrafiche separate (e quindi non impattate dall’attacco cui stiamo facendo riferimento nell’esempio.

 

È interessante notare che data la diversa natura del rischio anche le azioni di mitigazione da intraprendere sono diverse nei due casi a seconda del tipo di rischio di cui parliamo.

Nel caso del ransomware, ad esempio, dal punto di vista del GDPR potrebbe essere sufficiente una buona struttura di backup isolata dal sistema, mentre nel caso di business la business continuity richiederebbe una serie ben diversa di sforzi implementativi.

Mescolare e fare confusione non è una buona strada da seguire.

Fare confusione sui diversi domini di rischio, anche se afferenti ad un medesimo evento, può portare a scelte non corrette di mitigazione eo trasferimento.

Se questo è vero in generale, nel caso del GDPR assume un significato ancora più grande in quanto occorre capire che il soggetto a rischio è esterno alla azienda e quindi le azioni da intraprendere sono concettualmente diverse.

Non definire sin dall’inizio le responsabilità e modello di calcolo del rischio comporta scelte, nella migliore delle ipotesi, sbagliate.

 

Meditate gente meditate

Ciao

Antonio

 

 

 

 

 

 

mercoledì 11 gennaio 2017

Devi fare il budget sulla sicurezza informatica? Se sei stato fortunato: ti sei preso un ransomware

ho pensato che sia cosa utile fare seguito ad un mio precedente post che si chiedeva se era paperino a fare i budget di sicurezza. Diciamolo, uno dei problemi che affliggono il mondo della sicurezza è che in pochi hanno una vaga idea di come costruire un budget che copra questi bisogni e lamentarsi sempre non aiuta a risolvere il problema, ho quindi pensato di scrivere un suggerimento su come venire incontro alla determinazione del valore economico della stesura di un budget di sicurezza informatica.

Il problema di costruire il budget della sicurezza è, notoriamente, che chi lo fa deve prevedere dei soldi da spendere, e li deve giustificare in qualche maniera all IT manager, al CEO, al CFO, all’HR manager e a Zio Paperone.

Non voglio stare a fare la lezioncina di come si fa un budget sulla sicurezza, ma lasciatemi evidenziare un paio di cose elementari.

  • Se spendi dei soldi questi devono essere meno del valore totale della cosa che vuoi proteggere
    • se quello che devi proteggere vale 100 e tu spendi 110 forse non hai fatto bene i conti
  • Devi in qualche maniera rispettare eventuali termini di legge
    • ricordati che vi sono delle leggi da rispettare, e in italia vige la responsabilità oggettiva, cioè se ha causa delle tue bischerate ne viene un danno a terzi, tu sei corresponsabile.
  • Quello che compri o implementi deve avere un senso
    • se temi che ti rubino la macchina non compri una cassetta di sicurezza, magari ti orienti verso un box ed una buona assicurazione

Le tre condizioni sarebbero da rispettare in contemporanea, perché ovvio che devi almeno fare quello che la legge chiede, che devi spendere il giusto e in maniera giusta.

Peccato sia proprio su questi 3 punti che si incontrano gli ostacoli maggiori nella costruzione del nostro budget.ma oggi voglio essere buono, limito gli insulti e mi occupo solo del primo punto:

Quanto ha senso farti spendere?

Mettiamola così, se tu dici che vuoi spendere 100 euro I tuoi capi ti diranno:

  • 100 euro … ma sei matto?
  • A che cosa serve tutto quel denaro li?
  • A miei tempi si usava la macchina da scrivere e tutto andava meglio
  • Non ci sono più le mezze stagioni
  • Piove governo ladro
  • Lei non sa chi sono io

A meno che tu sia un ceo illuminato e i 100 euro li tiri fuori da solo di tasca tua.

Ma perché ti dicono questo?

Perché per giustificare i 100 euro dovresti spiegare che questa esosa cifra ti serve per proteggere 100000 euro di valore della azienda.

Insomma non chiedi neanche una percentuale esosa…. Meno di una assicurazione.

Il problema è che tu non sai quanto stai proteggendo, e neanche loro lo sanno.

Qualunque budget di spesa dovrebbe prevedere la analisi del valore degli asset, se lo chiedi ad un CFO ti spiegherà questa cosa in tutte le salse. Salvo poi se gli chiedi come valuta i suoi asset digitali, in questo caso generalmente ride e pensa dentro di sé: è arrivato il cretino…. (con rispetto parlando per i retini ovviamente).

Questo è il vero dramma della IT, nessuno sa valutarne il valore economico e non dico il costo, che del valore economico è una componente.

Quanta IT serve per produrre valore nella mia azienda? Che valore hanno i dati digitali che uso?…

Perché se c’è una produzione di valore legata alla IT allora possiamo iniziare a parlare di budget, altrimenti stiamo buttando il mio, il tuo ed il suo tempo.

In altre parole o la digitalizzazione serve e dà valore e allora i dati vanno gestiti e protetti, o non serve ed allora perché che ne stiamo ad occupare?

Il ricattatore informatico: un consulente al tuo servizio

Purtroppo questo conto non lo sanno fare né il CEO né il CFO né l’HR e, probabilmente, nemmeno tu.

Ma qualcuno che questo conto lo sa fare c’è, è il tuo consulente globale sulla sicurezza, quello che ti fa il deploy del ransomware e poi ti chiede i soldi.

Si insomma quello che ti ostini a chiamare criminale è in realtà l’unico che ha capito di cosa hai bisogno… e come farlo capire al tuo capo

Non dovresti denunciarlo, dovresti dargli un premio produzione….

E si perché non c’è nulla come beccarsi un bel ransomware per far capire che i dati sono una cosa preziosa ed hanno un valore.

È questo valore è proporzionale a quanto sei disposto a pagare per riaverli indietro.

Il Ransomware, in altre parole, è un formidabile strumento di valutazione del valore degli asset digitali.

Non sono i virus, non è una intrusione, è proprio il ransomware che ti fa capire il valore di quello che hai in casa.

La tua azienda se lo becca, i suoi, tuoi dati vengono messi in una bella scatolina chiusa che si apre solo se paghi.

A questo punto persino il CEO ed il CFO iniziano a sospettare, bontà loro, che c’è del marcio in Danimarca. (l’HR manager viene dopo per questioni caratteriali J)

E si perché qualcuno questi soldi li deve tirare fuori a meno che non si riesca a porre rimedio.

Ora, ad esempio, se i backup li gestisci come non si dovrebbe fare (che è la norma) e quindi sono abbondantemente inutili, e se non hai una chiave per decrittare i tuoi dati ti trovi nella situazione seguente:

  • La gente non può lavorare a causa del blocco di qualcosa a cui prima non attribuiva valore
  • Tutti sono incazzati con te e ti danno la colpa, ma questo è normale
  • Vengono alla luce le cazzate fatte nella implementazione della tua struttura IT
  • La azienda perde dei soldi

A questo punto il CFO si mette una mano sul portafoglio e dà l’OK al pagamento del riscatto con il benestare del CEO, l’accordo del presidente, l’assenso dell’HR manager, il conforto dell’avvocato, le lacrime del marketing manager e l’assoluzione plenaria del padre confessore.

Bene, questo significa che hai appena dato un valore economico all’asset digitale. O meglio il valore glielo ha dato quel pio criminale che ha pensato di infettarti e ricattarti. È grazie a lui che ora tutti devono a denti stretti ammettere che quei dati hanno un valore.

Più alto il riscatto che il cfo è disposto a pagare, più alto è il valore che assegna a quell’asset.

Ovviamente vi sono considerazioni accessorie tipo:

  • Quanti soldi perdo per il blocco derivante da questo incidente sui miei asset digitali?
  • Quanto inciderà la figura di cacca che sto facendo sul mio mercato?
  • Quanto mi costerà il ripristino alla funzionalità normale?
  • Quanto mi costerà mettere in sicurezza la cosa perché non si ripeta?
  • Vado incontro a conseguenze legali?

Ma non voglio tediarti con particolari inutili. Carpe diem, cogli l’attimo.

Quello che risulta è che quello che, per motivi a me oscuri, continui a chiamare criminale informatico in realtà ti ha appena fatto una analisi del valore dei tuoi asset digitali come nemmeno il più persuasivo dei consulenti farebbe.

Certo non è proprio fatto secondo canali strettamente legali, ma se la legalità ti interessasse avresti intrapreso da un po’ l’adeguamento dei tuoi sistemi al GDPR… purtroppo per quella consulenza devi aspettare l’ispezione e la multa conseguente (da quelle parti si svegliano anche l’HR manager e il responsabile marketing).

Se proprio volessimo buttarla in polemica si potrebbe osservare che essere costretti a dare una valutazione economica di un bene a seguito di un atto criminoso denota una scarsa lungimiranza, e allo stesso tempo se dobbiamo agire di concerto alla legge solo perché vogliamo evitare le multe forse abbiamo un approccio leggermente discutibile dal punto di vista etico.

Ma siccome non vogliamo scendere in queste sterili polemiche limitiamoci ad osservare che se sei fortunato ti capita una brutta cosa che mette in luce un valore che nessuno VUOLE vedere, se sei sfortunato ti obbligano a farne una peggiore, i budget di sicurezza come li hai fatti fino ad adesso.

Chiaro che poi hai ancora i punti 2 e 3 da affrontare, ma almeno il punto 1 hai iniziato ad affrontarlo

Ci trovo una sottile ironia i questo, ma magari sono solo io…

 

Buon insicuro 2017

Antonio

 

PS: spero si sia colta l’ironia ed il sarcasmo del pezzo, ma siccome ho una scarsa fiducia nel genere umano permetti di precisare questo. Ben lungi dall’essere apologia di reato non sto dicendo che fanno bene ad attaccarti, né che i criminali siano giustificati, so solo utilizzando le figure retoriche del paradosso e dell’iperbole per evidenziare come talvolta è solo a seguito di un incidente che ne priva la fruizione che si capisce il valore di un beneservizioasset.

 

 

 

 

lunedì 29 febbraio 2016

The IoT Files: Culture

The IoT Files: Culture

 

Diapositiva28

In the previous IoT flies tried to outline what are, from my point of view, some key factor that have to be taken into account when talking about IoT.

The last, but not the least, point I would like to put some notes is culture.

Since IoT is something that will shape out way of life on many aspect, we have to convene that culture is a key element in order to positively and safely embrace it.

Culture refers to billions of things, from language structure to literature, from how we share information to how we get them. In any of those aspects IoT will have a great impact and relevance.

Diapositiva29

IoT awareness.

From a cultural point of view embracing IoT means, first of all, the awareness of IoT is and its implication.

This awareness and understanding will be shaped while IoT will growth and become part of our life, but if we start to talk about cultural impact of something when it is already there, it is too late.

If we weight our experience nowadays we still do not have coped, from a cultural point of view, with all the technological advantage. Sometimes we simply refuse to accept them and label as bad, ot we use it without a real comprehension.

The result is under everyone’s eye, from the rise of cybercrime to the rise of internet dependencies and the apparent shrink of interpersonal relationships literature is full of example on how we still badly cope with the new technology.

Laws also are affected by this difficult to comprehend the new environment, as management culture as well.

IoT awareness is therefore way more important since is way more pervasive than our actual technology.

A new privacy

IoT will be so pervasive that will change dramatically our perception of privacy. as a matter of fact in the IoT world there is nothing like privacy at all, somehow there is always a sensor monitoring you, and this could drive to unexpected behavior reactions. But for sure a new approach to privacy will be necessary, as well as a new approach to privacy protection. In a world where all is turned on data, those data becomes the paradigm of our reality and so we will have to deal with that accordingly.

Communication Issues

But the changes are also related to the way we will communicate. New jargon comes out every moment, millennial have different language from generations X or baby boomers, and so IoT will developed its own language. How we will incorporate it and drive it is still to be defined, but in IoT the wide level of communication and data interchange will move all this to a worldwide scale. Language will not become a local issue anymore just because to exchange data it is needed a common communication framework. As for privacy without a common understanding of the rules will soon be turn this into a chaos.

Censorship and cultural constrain

One of the main issues IoT will bring with it is how to deal with communication restrictions, or in other words censorship. We have already mentioned censorship as one of the big issues that can affect IoT, to stress more the idea it will be not only a business problem but also a cultural problem. A world of sensor that are monitoring everything (this is the downside of IoT) can affect heavily systems believes and force some culture to close up into themselves. If we will not understand how to cope with it all relationships could be bring to the extreme.

We see it nowadays with the rise of Hate speeches, bullies, urban legends, fake stories on social media how difficult is to cope with more open communication channels, can you imagine what IoT will bring back? We have to assume that the number of data will be way more, and so the way people will interact with those data.

Who is left behind?

And the cultural issues will affect more the technology illiterate, and the ones will be left behind, marking a wider distance between the IoT world citizens and the one left behind. The digital divide is already a cultural problem, IoT will widen it up. Without the proper tools to understand this world the level of non comprehension will rise up dramatically, widen tensions.

And this is not just a problem from rich and poor countries, even inside rich countries the difference and the level of familiarity with technology vary dramatically in social groups or areas.

Illiteracy today is not just referred to not be able to write or do math, but also use internet and technology as computer or Smartphone. Just wide it up the gap with the introduction of new technologies….

How to teach all this

The root of the problem will become: how to teach all this?

Diapositiva30

Today a scholar system does not approach, generally speaking, the actual technology environment. Schools is, roughly, a century behind the modern world. Access to technology, how to deal with technology, is not common in most of the worldwide scholar system. Is not just a problem of technology in place (give a computer to every student) but also how to teach with the new tools and what to teach?

Cyber security basics, as an example, should be a mandatory introduction in any school of any grade, considering the age our children approach the technology without the proper mindset. But schools are slow to cope with the new world.

But also at corporate level illiteracy about cyber security, technology use, implication between technology and communication are the common reality, and this lack of knowledge spread at every level from the lowest to the highest. a very few exception here can be done.

This issue should cover all the aspect of educations, from first grade to university, to corporate training. We can not afford anymore children that does not know how to protect themselves from the cyber world, of university graduate that face the real world as completely illiterate of what they will find in the real corporate environment, of developers that has not the slightest idea what means privacy and security, of management that is not able to evaluate the impact of technology in their business and so on.

Not to be able to deal with this will means to be overwhelmed by the impact of those technology and, in last analysis, to be ruled out as dinosaurs.

TBD

And the list could go on and on. We can make prediction but we can’t see clearly the future (unless using a crystal ball). We need to have new cultural, linguistic, philosophical tools to help us to cope with the new reality.

What to do?

We should start it now, not waiting for some higher action. Share knowledge, awareness, talk and think about those issues is the first step to find a solution and address them.

This is also a call to be active in associations, think thank group or whatever you can to help rising awareness. and where you feel gaps in your own knowledge you can try to discuss them asking from support.

good thinking

Antonio

 

domenica 22 novembre 2015

Global Cooperation in Cyberspace Initiative

th (3)Dear Colleagues,

 

The EastWest Institute is leading a Global Cooperation in Cyberspace Initiative to help make cyberspace more secure and predictable. As part of that initiative, EWI has established a “breakthrough group” that is working to enhance cybersecurity for governments and enterprises globally by enabling the availability and use of more secure information and communication technology (ICT) products and services.

 

For providers in the ICT supply chain, the group is promoting the use of recognized and proven international standards and best practices that improve product and service integrity. For buyers of ICT, the group is working to foster the use of procurement practices that are founded on recognized and proven standards and best practices for secure ICT.

 

This request for input asks you to evaluate a set of principles, relevant and appropriate standards and best practices, and a set of questions for buyers and providers that will provide practical guideposts for evaluating and enhancing the security of ICT products and services.

 

Please complete the following request for input by December 7th.

 

The link for the request for input is: 

 

Sincerely,

sabato 8 novembre 2014

Advanced Persistent Threat

ict

Advanced Persistent Threat: come muoversi tra il marketing e la realtà?

Slide1

Questo post riporta le immagini della presentazione che ho tenuto al Festival ICT il 6 di novembre. oltre al post metterò su slideshare a disposizione anche l’intera presentazione in visione sperando di fare cosa gradita.

Slide2

Ovviamente le prime due slide sono introduttive, la prima rappresenta il titolo, l’orario ed il numero della sala 🙂 nella seconda abbiamo la grande opportunità di vedere anche la mia foto e la mia e-mail come referenza per chi fosse interessato.

Vi tralascio la descrizione della animazione di transizione tra una slide e l’altra (per gli interessati, origami) e passiamo a cose più serie 🙂

Slide3La domanda che ho posto è: ma noi sappiamo, o abbiamo capito esattamente cosa significhi APT? Di APT si parla molto sul mercato ed i vendor di sicurezza ne fanno ultimamente uno dei loro cavalli di battaglia , ma abbiamo realmente capito di cosa si tratta? APT come sigla in realtà può significare tantissime cose, e ne avete sulla destra breve elenco.

Per prima cosa occorre quindi capire cosa significhi relamente APT e da questo punto possiamo partire ad analizzare l’offerta di mercato.

Slide4

Se prendiamo la definizione di APT come Advance Persistent Threat scopriamo che è una cosa ben precisa. le tre parole significano:

Advanced: si tratta di un attacco dove l’attaccante utilizza tutte le tecnologie utili al risultato: da un semplice uso di vulnerabilità note alla creazione o scoperta di vulnerabilità specifiche, si tratta quindi di una forma di attacco estremamente sofisticata che utilizza risorse e tecnologie coerenti con lo scoppo dell’attacco e la struttura dell’attaccato:

Advanced means the adversary can operate in the full spectrum of computer intrusion. They can use the most pedestrian publicly available exploit against a well-known vulnerability, or they can elevate their game to research new vulnerabilities and develop custom exploits, depending on the target’s posture.

Persistent: significa che l’attacco è un attacco motivato, e non un attacco casuale su un bersaglio randomico. il significato di “persistent” non è quindi che si tratta di un attacco ripetitivo, ma di un attacco ove l’attaccante insiste con le tecnologie opportune per arrivare al suo obiettivo.

Persistent means the adversary is formally tasked to accomplish a mission. They are not opportunistic intruders. Like an intelligence unit they receive directives and work to satisfy their masters. Persistent does not necessarily mean they need to constantly execute malicious code on victim computers. Rather, they maintain the level of interaction needed to execute their objectives.

Threat: significa che l’attacco non è un atto meccanico o casuale, ne un malware generico ma un soggetto determinato con un piano e risorse.

Threat means the adversary is not a piece of mindless code. This point is crucial. Some people throw around the term “threat” with reference to malware. If malware had no human attached to it (someone to control the victim, read the stolen data, etc.), then most malware would be of little worry (as long as it didn’t degrade or deny data). Rather, the adversary here is a threat because it is organized and funded and motivated. Some people speak of multiple “groups” consisting of dedicated “crews” with various missions.

 

Slide5

 

Il target di un APT può essere in realtà qualsiasi, non esiste un mercato specifico, obiettivi militari, politici, economici anche in senso lato possono giustificare un APT. va anche considerato che un APT è può prevedere anche attacchi multipli su soggetti diversi, per motivi che possono essere i più diversi, dal aumentare il “rumore di fondo”, a distrazione o copertura del vero bersaglio.

Già dalla definizione è quindi chiaro capire come sia poco plausibile che esistano prodotti specifici contro gli APT, in quanto un APT non definisce a priori un attacco specifico, ma una tipologia di attacchi che utilizza tecnologie multiple e complesse.

Slide6

Un APT è quindi più correttamente espresso come un processo, una successione di passi che partono dalla definizione di un bersaglio allo sviluppo di uno o più attacchi veri e propri.

Slide7

Visto che non tutti masticano l’inglese ho riportato la definizione di APT data dal NIST, ma tradotta in italiano:

“La minaccia avanzata persistente è un avversario con livelli sofisticati di competenza e risorse significative, che gli consentono, attraverso l’utilizzo di vettori di attacco multipli (come frode e metodi informatici e fisici), di generare opportunità per raggiungere i propri obiettivi: questi consistono tipicamente nello stabilire e ampliare punti di appoggio all’interno dell’infrastruttura informatica delle organizzazioni, allo scopo di derivarne informazioni in modo continuativo e/o di compromettere o ostacolare aspetti critici di una missione, programma o organizzazione, o di mettersi in condizione di farlo in futuro. Inoltre, la minaccia avanzata persistente persegue i propri obiettivi ripetutamente per un periodo di tempo prolungato, adattandosi agli sforzi di un difensore per resisterle, e con lo scopo di mantenere il livello di interazione necessario per eseguire i propri obiettivi”.

Slide8

Essendo quindi un APT più propriamente un processo, occorre quindi capire quali siano gli step principali per riuscire a comprendere quali tecnologie, eventualmente, possano essere di supporto alla difesa di attacchi simili.

Il primo passo di un APT è sicuramente la definizione del bersaglio, con definizione si intende la identificazione del soggettoi da attaccare, le linee guida dell’attacco e gli obiettivi. Esattamente quello che faremmo per la definizione di  un progetto 🙂

Slide9

La definizione di un bersaglio quindi  richiede che siano fissati obiettivi e strategie che sono dipendenti dalla natura del bersaglio stesso e dagli scopi che spingono l’attaccante. Abbiamo detto prima che esiste una moltitudine di bersagli, mercati e scopi, le considerazioni tattiche e strategiche sono quindi molteplici ed afferiscono in larga parte a questa fase.

Slide10

 

In linea di massima però possiamo suddividere questo processo in almeno tre fasi chiave:

identificare il soggetto o i soggetti target, o le motivazioni degli attacchi

definire gli obiettivi in termini di cosa colpire, come e perchè

definire una strategia, compreso il tempo entro cui effettuare la operazione, le risorse da impegnare, il gruppo di lavoro e via dicendo.

 

Slide11

Una volta definito il bersaglio inizia la attività di analisi. questa attività serve ad evidenziare tutti gli aspetti utili all’attacco e si svolge non solo in aree strettamente informatiche, ma a seconda del tipo di attacco possono comprendere anche analisi di tipo diverso, fino a vere e proprie ricognizioni fisiche, in quanto l’attacco stesso potrebbe richiedere attività dirette sul soggetto oggetto di attacco.

Slide12

 

Possiamo quindi definire almeno die macro aree generali legate alla attività di analisi del bersaglio:

una attività di profilazione ed una di ricognizione.

Entrambe le attività possono usare tecniche comuni, ma la ricognizione è comunque una cosenguenza della esigenza di profilazione.

Slide13

La profilazione richiede la costruzione di una scheda del bersaglio che contenga la maggior parte delle informazioni possibili utili allo svolgimento delle attività prevista, questa profilazione fa riferimento anche a caratteristiche “umane” del bersaglio quali struttura societaria, interfacce pubbliche, impiegati, competition, vicini, asset, distribuzione geografica…

Slide14

I tools che si usano nella profilazione sono generalmente comuni attività di social engineering, talvolta phishing, sicuramente prevedono l’analisi di dati pubblici quali siti web, blog, forum sino ad arrivare talvolta a sopralluoghi fisici del sito.

Slide15

Analogamente le attività di ricognizione, possono richiedere una serie di attività che portino alla definizione della topologia di rete del bersaglio, compresa la struttura dei routing, OS fingerprinting, l’analisi dei DNS e tutte quelle attività che possano ortare dati di definizione almeno della struttura esterna delle rete del bersaglio.

  • —Social Engineering

  • —Spear Phishing

  • —DNS

  • —External Network Topology

  • —Port scanning

  • —Service Discovery

  • —Directory Harvesting

  • —O.S. fingerprinting

  • —Network Topology

  • —Route Topology

  • —Vulnerability analisys

  • —…

Slide16

Una volta definito il dettaglio del bersaglio è possibile passare al primo passo della aggressione: l’ingresso iniziale.

Slide17

Sebbene nella convinzione comune l’ingresso iniziale sia l’attacco vero e proprio, questo passaggio ha invece uno scopo specifico che è quello di testare gli strumenti di attacco, definire il perimetro difensivo del bersaglio, trovare i punti di attacco disponibili e soprattutto iniziare a disegnare la topologia interna della rete bersaglio.

Slide18

l’ingressoiniziale di solito si compone di sottoattività descritte nella slide, le più diffuse e comuni sono ovviamente:

  • —Test vulnerabilità utilizzabili

  • —Test riconoscimento attacchi e risposte

  • —Definizione strategie multiple di copertura

  • —Weaponization (prima infezione)

  • —Exploitation

  • —Topology

  • —…

è interessante osservare come spesso le attività legate al primo ingresso sono comuni a molti tipi di attacchi, e spesso confusi col “rumore di fondo” degli eventi che accadano nelle nostre reti.

punti chiave del primo ingresso sono ovviamente la parte di utilizzo delle eventuali vulnerabilità scoperte per la prima infezione meglio chiamata, in letteratura anglofona, come weaponization che indica come si sia trasformato qualcosa in una arma.

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Una volta effettuato il primo ingresso si dovrebbero avere indicazioni e strumenti sufficienti ad effettuare un livello di penetrazione più profondo che preveda il deployment di “qualcosa” che possa portare avanti le fasi successive dell’attacco.

Slide20

Vale la pena di osservare che la fase di deployment può essere Remota, Fisdica o un mix di entrambe (Ibrida).

Un classico esempio di deployment fisico è l’introduzione di chiavette USB con payload malevoli, o l’attacco diretto ad una presa di rete di un device.

Si pensi ad esempio a quanto accaduto in Iran con l’affair SCADA, la fase di deployment era stata di tipo fisico con la “distribuzione” di chiavette USB infette in luoghi pubblici frequentati dagli operatori delle centrali nucleari.

Slide21

A seguito del deployment vi è generalmente una fase di espansione i cui ci si attesta su alcune “teste di ponte” e si inizia ad analizzare quali siano i migliori punti di attacco, se non ancora noti, o ad attaccare bersagli diversi.

Slide22

La fase di espansione può ancora contenere notevoli fasi di analisi ed esplorazione, ma essenzialmente si incentra con la creazione del network di attacco vero e proprio. Una parte di analisi fondamentale in fase di espansione è l’analisi dei processi del bersaglio. A seconda infatti di quello che che sono gli obiettivi l’analisi dei processi può dare indicazioni su come effettuare in concreto l’attacco.

Immaginiamo, ad esempio, che l’obiettivo sia di modificare codice o alcuni dati di un progetto. Queste modifiche avrebbero senso dopo eventuali fase di controllo e validazione, l’analisi del processo è quindi fondamentale per il successo della operazone.

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Passi fondamentali della fase espansiva sono ovviamente l’infezione di hosts, movimenti laterali, azioni di copertura ed interferenza. In particolare la creazione di una o più reti di attacco e il test dei canali di comunicazione con l’esterno.

Slide24

La fase successiva alla fase di espansione è, ovviamente, la fase di consolidamento.

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In questa fase vi è la attivazione delle reti di attacco e la attivazione delle misure di copertura, questa fase può essere relativamente piccola in termini di azioni, ma può avere una notevole espansione temporale per rendere difficilmente riconoscibile e correlabile l’insieme delle attività

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Alla fine finalmente possiamo finalizzare le nostre fini attività (ok ok sto giocando) in un attacco.

Slide27

La fase di attacco vero e proprio non è descrivibile neanche in termini generici, perchè dipende dalla natura dei goals che si sono definiti in fase di definizione del bersaglio. tutto quello che possiamo dire che finalmente va a frutto il lavoro svolto in precedenza.

Slide28

Alla fine della attività di attacco ci sono generalmente quelle di copertura, che servono a nascondere le tracce e le prove di quanto successo.

Slide29

Ancora una volta vale la pena di stressare che gli APT hanno una fine, persistent non significa che vanno avanti in maniera illimitata. la fine dell’attacco generalmente porta alla cancellazione o alterazione  delle eventuali prove che possano ricondurre all’attaccante.

Slide30

Una volta descritto il processo relativo ad un APT possiamo chiederci dove possiamo intervenire. a seconda della fase di un APT possiamo fare delle considerazioni generiche:

fase1: definizione bersaglio.

Questa fase non è rilevabile in quanto implica solo un uso marginale e non necessariamente illegale di strumenti di raccolta delle informazioni, ad esempio si pensi ad una analisi osint.

fase2: Analisi bersaglio

questa fase è parzialmente rilevabile, ma difficilmente associabile ad un APT o un attacco specifico. Viene di solito coperta ne “rumore di fondo” che gira attorno alle nostre reti.

fase3: primo ingresso

Le attività in questa fase sono rilevabili (Early External Detection) come attività esterne. Possono essere associate ad un attacco, ma difficilmente ad un APT l’eventuale blocco di questa fase è, se si tratta di un vero APT, solo apparente, perchè l’essere “scoperto” serve a testare la qualità dei sistemi difensivi e comunque una fase di primo ingresso in termini APT prevede una quantità notevole di tentativi diversi, di cui alcuni presumibilmente andranno a segno.

fase4: Deployment

Rilevabile (External Detection), questa è una delle fase critiche di un APT perchè è rilevabile, associabile ad un attacco esterno e, in presenza di una analisi storica degli eventi (ad esempio utilizzando correlazioni SIEM con una certa espansione temporale) può essere identificata come componente di un APT facendo alzare di conseguenza il livello di attenzione.

fase5: Espansione

Rilevabile (Early Internal Detection), in termini di rilevamento questa fase di attacco è ancora più critica della precedente in quanto si agisce già in maniera pesante all’interno del network target.

Va anche però osservato che le fasi interne hanno il vantaggio di vivere in aree dove il livello di attenzione è generalmente più basso, come a dire una volta entrati il più è fatto perchè si tende generalmente a concentrare le difese a livello perimetrale.

fase6: Consolidamento

Rilevabile (Internal Detection), per la fase di consolidamento valgono considerazioni analoghe al punto 6, con la considerazione che in fase di consolidamento vi sono, probabilmente, piu reti di attacco che si possono attivare con tempistiche diverse, il rilevamento quindi non necessariamente significa l’aver bloccato l’attacco. Come anche nelle fasi precedenti si ricordi che possono esserci attività di disturbo o decoy che servono a distrarre le difese.

fase7: Sviluppo attacco

Rilevabile (Late Internal Detection), la considerazione base da fare è che in questa fase siamo già in presenza di un attacco conclamato e quindi le attività da svolgere sono di contenimento danni.

fase8: copertura

Rilevabile (Post Mortem) tutto ciò che avviene dopo la  fase di attacco è una rilevazione di tipo post mortem, in qunato l’attacco oramai è andato in porto.

fase9: …

comunicazione esterna, ci avvertono che è avvenuto qualcosa

Slide31

Cosa possiamo fare contro gli APT? in realtà molto poco, e molto.

Lo strumento più efficace contro un APT è la messa in piedi di una serie di processi coordinati di sicurezza, in cui tecnologie e processi aziendali siano disegnato con la sicurezza in mente.

come suggerimenti generali, validi non solo in ambito APT ma in generale in ambito sicurezza

  1. —Complicare l’accesso iniziale (Firewall, Sandbox, Antimalware, gestione DNS e DHCP, IPS …)

  2. —Monitorare constantemente le risorse (SIEM deployment, Vulnerability assessment, …)

  3. —Ridurre il rischio di escalation dei privilegi in caso di compromissione di un account (NAC, IAC, DLP, …)

  4. —Rilevare precocemente account compromessi e attività sospette (SOC, NOC…)

  5. —Raccogliere informazioni utili a un’indagine forense, per poter determinare quali danni si sono verificati, quando e a opera di chi

una particolare raccomandazione è di tenere bene a mente il èpunto 5, solo una indagine forenze può darci da un lato gli strumenti legali per rifarci contro l’eventuale colpevole e le informazioni corrette per l’implementazione di misure correttive.

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infine è importante ricordare che:

—Gli APT sono difficili da individuare. Secondo il Verizon 2012 Data Breach  Investigations Report, il 92% di tutte le organizzazioni e il 49% delle grandi organizzazioni è venuta a conoscenza di una violazione della sicurezza perché informata da un soggetto esterno.

Slide33

un po di reference:

—Advanced volatile threat

https://www.academia.edu/6309905/Advanced_Persistent_Threat_-_APT

Anatomy of an Advanced Persistent Threat (APT)”. Dell SecureWorks. Retrieved 2012-05-21.

Are you being targeted by an Advanced Persistent Threat?”. Command Five Pty Ltd. Retrieved 2011-03-31.

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grazie 🙂