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mercoledì 29 luglio 2020

Shrems II, Data transfer, and the USA: wheels are rolling.

Probably everyone now has, at least, heard about the EJC sentence called Shrems III that basically rules out the possibility to use Privacy Shield infamous agreement to allow data transfer between EU and USA based on the fact that the USA does not provide enough guarantees EU data will be protected.

If you don’t know (but you should) here my previous article:

https://thepuchiherald.com/2020/07/17/ops-privacy-shield-bye-bye/

After the sentence one of the question was: what now?

Will a Grace period be offered to survive this? (lot of companies were transferring data using privacy shield to USA)

And most of all does SCC will be enough?

The answer my friend, is blowing in the wind...

er no actually there have been some FAQ form the EDPB that should call to action fel local authorities.

According to the new FAQs of the European Data Protection Board on #SchremsII decision, if you want to transfer personal data to the US under the SCCs or other means, you will have to notify the data protection supervisory authority. This approach will oblige companies to perform a massive amount of work since the notification will have to be definitely accompanied by an assessment as to the adequacy of the data transfer mechanism. Are companies and SA ready to handle this large amount of work?

https://edpb.europa.eu/news/news/2020/european-data-protection-board-publishes-faq-document-cjeu-judgment-c-31118-schrems_en

While some Authorities do have not yet reacted (and this is not a surprise for Italians, I am afraid) some others (wonder who) have made a statement that clarifies the doubts that can eventually rise up and not solved by the EDPB’s FAQ.

The Conference of German Supervisory Authorities (DSK) issued its statement yesterday about the consequences of the #Schrems II judgment that, as we can imagine, is completely aligned with the EDPB position. There are some points that are critical on the matter:

Data transfers based on the Privacy Shield are no longer allowed and all companies must immediately suspend them

This is a critical point since I am quite sure there are companies that do not even know their data were delivered to the USA under Privacy Shield. I would like to remind you that if an audit from the authority knock at your door something like: “I don’t know”, “I don’t remember” will not save you. GDPR requires that you, company, prove you have done your duty in a concrete, effective way, so not paper compliance here allowed. Just to make life easier I would love to remind you also that this is not just the German way, and sooner or later the other authorities will align with such requirements.

Transfers based on the SCC require an assessment of the adequacy of the context and the supplier

And here we have the headache since it is not “optional” the assessment is mandatory. This comes as an obvious consequence to the fact in the EDPB FAQ it is written to be allowed SCC’s transfer should be communicated to the authority. Now this means, for some of you so naive that was thinking, I can send a mail to the authority telling, “hey chap I use SCC do not worry” does not work like this. For some reason they want you to prove you did your duty.

The use of SCC for the transfer of data to the United States, in the absence of additional guarantee measures, it is not sufficient to legitimize the activity

And of course, if you send your data to a country that does not guarantee the privacy of EU citizens and residents, well, your duty is kind of complex. And let be clear and brutally honest (while usually I am obscure but kind rotfl) this will require the active cooperation of the vendors that offer you services because you need solid proofs and not just paperBS.

There is no “grace period”

And this means you need to do this right fucking now.

And just for the sake of my Italian fellow countrymen, this means that even if our authority is under a sleeping spell and did not react yet, you have to act nevertheless because again an audit will knock and you will have show you’ve done the right thing. But the “garante” did not tell us nothing will not be an excuse to avoid non-compliance (with the relative consequences).

Time for DPO to start working and earn their money 😂🤣 (Is a joke I know many DPOs already do something)

mercoledì 12 luglio 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuol sapere: ma quante carrozze ha questo treno?

Ho appena finito di parlarvi amabilmente degli articoli 1 e 2 del primo capitolo di quell’avvincente romanzo che è il GDPR che già siamo arrivati all’articolo 3, e sembrava solo ieri che stavamo leggendo il titolo….

Beh torniamo quindi a noi.

Articolo 3

L’articolo 3 introduce, in un legalese da paura, l’ambito territoriale di pertinenza del GDPR che, tradotto in italiano, significa dove deve risiedere un soggetto per finire invischiato in tutto questo.

La lettura puntuale dell’articolo è un esercizio semantico interessante e non banale. Come a dire che è scritto in maniera abbastanza incomprensibile.

Cerchiamo di tirare un sospiro e capiamo cosa questo articolo ci porta, perché, purtroppo, è interessante.

Se leggiamo i 3 punti che compongono l’articolo capiamo che il regolamento si applica a coloro che “processano” i dati di persone fisiche residenti in Europa sia che siano in EU o meno. In particolare:

Se sei un soggetto in EU devi rispettare il GDPR anche se fai il trattamento dei dati all’estero, quindi se sei una società con ragione sociale in EU e stai raccogliendo dati di residenti europei ma hai i server in “Cina” o in “USA” devi rispettare il GDPR.

Se non sei un soggetto in EU ma lavori con dati di europei (cittadini o residenti) in Europa allora sei vincolato al GDPR, e non importa se il trattamento ha fini commerciali o meno. Questo significa, ad esempio, che Linkedin o Facebook o Google devono rispettare il GDPR per raccogliere i dati in EU.

La domanda che sicuramente tutti si pongono è: ma allora posso mettere i miei dati su Baidu? E Baidu è vincolato al rispetto del GDPR?

Ora a parte che non è detto che tutti sappiano chi è questo Baidu, il punto è interessante. Leggendo l’articolo 3 mi verrebbe da dire che si, anche Baidu (il Google cinese, vi aiuto) dovrebbe conformarsi. Il punto è, eventualmente, come esercitare il diritto di controllo e quindi le eventuali multe se il soggetto che raccoglie i dati europei risiede completamente al di fuori dell’UE senza avere in UE una rappresentanza legale.

Considerando la natura di Internet la domanda non è peregrina, andare a batter cassa o chieder conto del rispetto delle regole in Cina o USA non è decisamente un esercizio di facile applicazione.

Almeno l’articolo 3 ci definisce il perimetro territoriale cui fare riferimento: se hai a che fare con dati personali di cittadini eo residenti dell’Unione Europea anche se non sei una entità EU dovresti rispettare le regole.

Diciamo, per contro, che se un cittadino europeo va al di fuori dell’unione e lascia i suoi dati a aziende che niente hanno a che fare con l’unione europea non è coperto dal GDPR, il che non ci dovrebbe stupire… In teoria quando siamo, ad esempio, in un paese extra UE dobbiamo seguire le leggi del paese che ci ospita. Ad esempio, se ti mandano andiamo a quel paese, diciamo in UK, e guidi come in Italia poi non stupirti se questi ti dicono che stavi guidando contromano … a meno che guidi regolarmente contromano anche in Italia, allora sei il proprietario della Ford Focus bianca che tutte le mattine mi sorpassa e si fa un paio di km contromano per evitare la coda sulla statale della val Tidone ?.

Ma torniamo al GDPR che, come al solito, ho divagato. Per finire la comprensione dell’articolo al solito vi suggerisco la lettura dei seguenti “recitals”:

22232425

In particolare ci viene comodo leggere il numero 22

(22) Qualsiasi trattamento di dati personali effettuato nell’ambito delle attività di uno stabilimento di un titolare del trattamento o responsabile del trattamento nel territorio dell’Unione dovrebbe essere conforme al presente regolamento, indipendentemente dal fatto che il trattamento avvenga all’interno dell’Unione. Lo stabilimento implica l’effettivo e reale svolgimento di attività nel quadro di un’organizzazione stabile. A tale riguardo, non è determinante la forma giuridica assunta, sia essa una succursale o una filiale dotata di personalità giuridica.

In cui si specifica al di la di qualsiasi ragionevole dubbio (ma quelli irragionevoli sono sempre accetti) che lo stabilimento (non balneare)

Dopo l’articolo 3 troviamo, incredibile a dirsi:

Articolo 4

Commovente a dirsi, le definizioni di quanto troviamo dopo arrivano con l’articolo 4.

Le varie definizioni possono essere accompagnate da i relativi “recitals” in particolare:

262728293031323334353637, 38, , 424348, 67, 8586868788, 91, 124, 150

Ovviamente i 26 punti fanno riferimento a diversi capitoli, quindi lacune definizione non le abbiamo incontrate ancora ma arriveranno solo dopo.

Attenzione attenzione, sapete cosa c’è dopo l’articolo 4?

Ovvio l’articolo 5 ma sopratutto:

Il capitolo 2, dove si parlerà dei principi su cui si basa il GDPR. 7 articoli che ci definiranno il bi ed il ba

Articolo 5 – Principi applicabili al trattamento di dati personali (39)
Articolo 6 – Liceità del trattamento (4041424344454647484950)
Articolo 7 – Condizioni per il consenso (32334243)
Articolo 8 – Condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione (38)
Articolo 9 – Trattamento di categorie particolari di dati personali (515253545556)
Articolo 10 – Trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati
Articolo 11 – Trattamento che non richiede l’identificazione (57)

Che dite li dobbiamo vedere tutti uno per uno o possiamo solo saltare la dove ci sono coe interessanti da capire?

Buona lettura…. ?

giovedì 15 giugno 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuol sapere: raschia raschia rimane il rischio ?

Ma se ti dico “rischio” tu che mi rispondi?

Er… no non intendo la sequela di insulti o le minacce più o meno velate a cu stai quasi sicuramente pensando, stavo cercando di parlare di GDPR…

No, no, GDPR non è una parolaccia, calmiamoci.

Insomma volevo solo chiedere che cosa associate alla idea di rischio indicata dal GDPR.

Ne parlo qui perché ultimamente ho avuto modo di vedere come molti non hanno bene chiaro cosa sia questo fantomatico rischio di cui si parla.

Allora cerchiamo di fare un poco di chiarezza ad un livello che persino io possa capire di cosa stiamo parlando, quindi estremamente basso.

Genericamente quando parliamo di rischio facciamo riferimento alla eventualità di subire un danno (più incerto di quello implicito in pericolo).

In termini estremamente generici questo significa dover analizzare una serie di cose associate ad un evento che comporti rischi:

  • la prima è: chi subisce il danno
  • la seconda è: l’entità del danno
  • la terza è: la probabilità che l’evento si possa verificare.

Il primo punto è fondamentale, i quanto il soggettooggetto del rischio determina pesantemente le altre due occorrenze sia in termini di valutazione quantitativa che qualitativa e quindi guida le scelte rivolte a ridurre, mitigare il rischio, trasferirlo o comunque gestirlo in toto o la sua parte residua.

Il secondo punto afferisce alla entità del danno. A seconda del tipo di rischio che stiamo analizzando l’entità viene solitamente parametrizzata attraverso valori di facile lettura, come ad esempio la perdita economica associata.

Il terzo punto va ovviamente ad indirizzare la esigenza di calcolare quante possibilità ci siano che l’evento infausto che causa il danno possa accadere. Laddove ci fosse la certezza non si parlerebbe di rischio e quindi le analisi di cui sopra sarebbero inutili e parleremmo, semplicemente, di pericolo.

L’analisi del rischio ci consente di mettere in atto quelle procedure e comportamenti che possano minimizzare gli effetti dannosi. Questo può essere effettuato attraverso diverse scelte NON mutuamente esclusive tra di loro.

Ad esempio:

  • Si può scegliere di indirizzare gli sforzi in direzione dell’abbassamento dell’entità del danno subito in caso di evento infausto
  • Si può scegliere altrimenti di indirizzare gli sforzi in direzione dell’abbassamento della probabilità che l’evento infausto possa accadere.

Potrebbe accadere che uno specifico evento si possa semplicemente eliminare dalla nostra tabella dei rischi a seguito delle azioni intraprese ma più spesso accade che i costi per l’eliminazione del rischio siano così alti che conviene invece accettare un rischio residuale.

Le azioni per abbassare il rischio possono essere ad esempio di mitigazione (vedi i due punti precedenti) o di trasferimento.

La soglia di accettabilità del rischio dipende ovviamente da valutazioni soggettive e oggettive e dipende dall’ambito di cui stiamo parlando.

Non esiste azione umana che sia esente dal rischio, ma la percezione e l’accettazione del rischio dipende ovviamente dal dominio cui stiamo facendo riferimento.

Ok ok ti sei annoiato con cose che sai benissimo meglio di me, anche se non sai di saperle (dopotutto tutti attraversano la strada e quindi gestiscono rischi….)

Torniamo al GDPR.

Il rischio in termini di GDPR è il rischio di danneggiare la privacy e le libertà fondamentali di un soggetto.

Usando i tre punti di cui si parlava all’inizio del mio sproloquio potremmo dire che:

chi subisce il danno è l’utenteutenti i cui dati personali vengono in qualche maniera indirizzati dall’evento in analisi (copia, cancellazione, modifica e via dicendo)

l’entità del danno è quanto l’utente possa essere danneggiato dall’evento specifico ed è, ovviamente, legato alla natura dei dati in oggetto e a quello che a questi dati è accaduto.

La probabilità che l’evento infausto possa accadere è invece legata ai processi in uso per la gestione dei dati raccolti.

Non facciamo i soliti errori per favore:

Innanzi tutto per poter implementare correttamente il GDPR occorre fare una valutazione del rischio implicito nella gestione dei dati personali, utilizzando come riferimento quello descritto sopra.

Chi deve fare queste valutazioni è chi si occupa di questa cosa. In ultima analisi spetta al responsabile dell’azienda utilizzando il DPO quando presente come fonte autorevole di indicazioni in merito.

Spetta al responsabile aziendale o “data controller” quindi decidere:

  • quale sia il rischio residuo accettabile
  • quale siano le azioni da intraprendere per mitigare, minimizzare i rischi legai al GDPR.

Questa cosa è di fondamentale importanza da capire. Nella nomenclatura del GDPR il Data controller o responsabile della gestione dei dati personali è la fonte delle decisioni. Il o i data processor pur condividendo una responsabilità operativa nella gestione della sicurezza del dato non sono responsabili delle scelte operate per proteggerli come tali.

Come a dire che non sta alle strutture IT decidere cosa fare, al più all’IT possono essere demandate le scelte implementative, una volta individuata la via di mitigazione che il “data Controller” ritiene più adatta ad abbassare la soglia di rischio fino ad un livello di rischio residuale accettabile, laddove queste richiedano una opzione tecnologica e non di processo.

Questa osservazione implica la comprensione di una cosa non sempre chiara in chi si occupa di GDPR:

il rischio in termini di GDPR è cosa diversa dal rischio di Business o dal rischio di Cyber Security.

Mescolare questi 3 domini assieme senza avere chiara a distinzione tra i 3 tipi di rischio comporta semplicemente l’indirizzamento verso scelte errate in quanto:

o non indirizzano la natura del rischio in oggetto (e quindi rappresentano una duplice voce di costo in termini di spese effettuate inutilmente e di rischio ancora presente)

o non mitigano correttamente tale rischio entro la soglia di accettabilità (rischio residuo accettabile).

o portano a scelte non ottimali e quindi più costose rispetto il necessario.

Purtroppo la non esatta comprensione del GDPR sta portando molte aziende a vedere la cosa solo in termini meramente tecnologici, associando il rischio GDPR al rischio tipico della Cyber Security. Questo rischia di far intraprendere alle aziende percorsi errati o eccessivamente onerosi.

Ma che differenza c’è?

Per capire la differenza tra un rischio di cyber security, di business e di uno legato al GDPR occorre pensare attentamente alla natura intrinseca del rischio in senso del GDPR.

Il GDPR si preoccupa delle libertà fondamentali dell’individuo espresse attraverso la difesa della sua “privacy”.

Ora prendiamo un paio di eventi esemplificativi dei domini di Cyber Security: DoS (Denial of Service) e attacco Ransmomware.

L’attacco  dDos

In caso di attacco DoSdDoS che blocchi una struttura, siamo in presenza di un evento dannoso che potrebbe impattare il business di una azienda nel caso colpisca, ad esempio, una interfaccia di e-commerce o una di mera presenza marketing online.

Dal punto di vista del business a seconda della interfaccia impattata le valutazioni di rischio potrebbero essere diverse ma potremmo dire che, se siamo in presenza di un attacco su di una interfaccia di E-commerce l’impatto (ed il rischio) è alto mentre in caso di una interfaccia di puro marketing potrebbe essere di medio livello

Dal punto di vista meramente Cyber, un attacco Dos è tanto più grave quanto maggiore sia la probabilità che esso avvenga e che impatti diverse strutture. In caso di un attacco ad un servizio online di E-commerce siamo in presenza di tutti gli elementi per definirlo un rischio elevato (probabilità, impatto, facilità di attacco….), ma la stessa analisi vale per un sito marketing. Dal punto di vista cyber quindi abbiamo valutazioni discordanti rispetto a quello di business.

Ora se ci mettiamo nei panni del GDPR in entrambi casi il rischio di esposizione dei dati dell’utente sono minimi o nulli, dono quindi in entrambi i casi eventi di basso rischio in termini di GDPR che potrebbero quindi essere considerati accettabili in termini in di rischio residuale.

 

L’attacco Ramsonware

Ricordate wannacy? Giusto per nominare l’ultimo?

In caso di business gli effetti di un ransomware che attacchi, ad esempio, le strutture di billing potrebbero essere disastrose, mentre l’attacco ad una serie limitata di PC potrebbe essere ininfluente.

Dal punto di vista Cyber invece la probabilità di attacco ad un terminale di un utente è più alta, e potenzialmente potrebbe dare adito ad attacchi diffusi interni, ne consegue che dal punto di vista cyber ci si potrebbe attendere addirittura una valutazione più alta di rischio sul pc dell’utente che sul sistema di billing.

Dal punto di vista del GDPR se sono in piedi processi che consentano il recupero dei dati in tempi accettabili (non è richiesta la immediatezza) un ransomware presenta un livello di rischio medio ed addirittura basso nel caso di un sistema di billing che tenga le anagrafiche separate (e quindi non impattate dall’attacco cui stiamo facendo riferimento nell’esempio.

 

È interessante notare che data la diversa natura del rischio anche le azioni di mitigazione da intraprendere sono diverse nei due casi a seconda del tipo di rischio di cui parliamo.

Nel caso del ransomware, ad esempio, dal punto di vista del GDPR potrebbe essere sufficiente una buona struttura di backup isolata dal sistema, mentre nel caso di business la business continuity richiederebbe una serie ben diversa di sforzi implementativi.

Mescolare e fare confusione non è una buona strada da seguire.

Fare confusione sui diversi domini di rischio, anche se afferenti ad un medesimo evento, può portare a scelte non corrette di mitigazione eo trasferimento.

Se questo è vero in generale, nel caso del GDPR assume un significato ancora più grande in quanto occorre capire che il soggetto a rischio è esterno alla azienda e quindi le azioni da intraprendere sono concettualmente diverse.

Non definire sin dall’inizio le responsabilità e modello di calcolo del rischio comporta scelte, nella migliore delle ipotesi, sbagliate.

 

Meditate gente meditate

Ciao

Antonio

 

 

 

 

 

 

venerdì 26 maggio 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuol sapere: dice il controller "lei non sa chi sono io"

Manca un anno al GDPR Doom’s Day e ovviamente siamo ancora impreparati ad affrontare la cosa.

Non lo dico io, ovvio, ma lo dicono le statistiche. E se i nostri amici al di la delle alpi sono messi non benissimo leggendo queste statistiche, vi lascio immaginare come siamo messi noi.

Siccome è un po che mi occupo della faccenda devo dire che mi sembra evidente che la comprensione di cosa sia il GDPR latita tra i responsabili aziendali, e le idee su come implementarlo sono spesso poche ma ben confuse.

Ho parlato in articoli precedenti diffusamente sul GDPR in tono lieve e talvolta ironico, ci provo ancora, anche se confesso che incomincio a provare un vago senso di inquietudine quando parlo di questi argomenti.

iniziamo dai alcuni errori di comprensione comuni

Il Bestiario GDPR

  • Il GDPR mi impedisce di collezionare i dati personali

lo ho sentito dire parecchie volte, ed ovviamente la risposta più corretta a questa osservazione è:

…ma la finiamo di dire pirlate?

Il GDPR è un regolamento che impone regole stringenti di gestione e processo dei dati personali, ma non ne impedisce ne la raccolta ne l’utilizzo. il punto è: sappiamo che ti servono, ma devi proteggere l’identità delle persone legate ai dati che hai raccolto.

  • Il GDPR è una roba IT, non mi interessa

e si …

…ma le multe le paghi tu non l’IT

Ovviamente tutto quello che non ci piace diventa un problema IT, peccato che l’IT sia impattata dal GDPR in maniera strumentale. Mi spiego meglio, l’IT deve implementare quelle misure che qualcuno decide debbano essere implementate per garantire il rispetto della normativa, ma non è l’IT che decide cosa implementare.

  • Il GDPR è una roba da avvocati, l’IT non centra

Ovviamente duale al precedente esiste la versione IT che si declina con un

ma a me cosa importa di sta roba?

peccato che una corretta implementazione dei dettami del GDPR imponga anche all’IT a ripensare i propri processi ed iniziare a gestire le cose in maniera adulta.

  • Io Faccio HR non mi devo occupare di queste cose

Ora notoriamente la mia posizione nei confronti della moderna interpretazione delle funzioni HR è abbastanza “critica” (lo so è un eufemismo).

…Il GDPR fa riferimento ai dati personali, ma anche quelli dei dipendenti…mi spiace ma ci sei dentro fino al collo caro HR manager…

Purtroppo per gli amici HR il GDPR non fa distinzioni tra clienti, fornitori o dipendenti. il GDPR si occupa di preservare le libertà fondamentali dell’individuo, essere impiegato non ne inficia né gli obiettivi né gli obblighi. Si, le funzioni HR devono tenere conto del GDPR.

e via scemenzando ne ho sentite fin troppe, anche da sedicenti personaggi che si offrono come esperti. Ok Ok loro dicono lo stesso di me 🙂

GDPR e Processi

Il primo che dovrebbe preoccuparsi del GDPR non è altri che il Board della azienda. La corretta implementazione del GDPR richiede infatti la esplicita presa in carico della azienda della implementazione della conformità alla nuova legge.

Nel dettato del GDPR viene esplicitato diverse volte che spetta all Data Controller di fare le valutazioni inerenti a quale sia il rischio legato alla getione dei dati personali tenendo presente da un lato le esigenze del business dall’altro le libertà individuali da proteggere.

In altre parole il motore della analisi è il Business. e questo non è un dominio che attiene all’IT ma al board della azienda.

l’implementazione del GDPR richiede che si sia in grado di fare una valutazione di Business dell’impatto del processo di raccolta ed elaborazione di dati personali. è il business che determina anche come devono essere gestiti e protetti questi dati.

Il soggetto utilizzato nella nomenclatura GDPR per fare queste valutazioni è il Data Controller. Il responsabile ultimo del trattamento, il CEO della azienda.

in altre parole chiedere alle funzioni IT di gestire il GDPR è come chiedere ad un pilota di progettare una macchina.

Alla fine della fiera la corretta implementazione della normativa richiede la definizione di processi definiti tracciabili e sicuri che consentano di gestire tutta la vita del dato personale all’interno della azienda. questo comporta:

  1. la definizione delle responsabilità all’interno della struttura (ruolo che spetta per definizione al management)
  2. la definizione del livello di rischio accettabile in relazione all’attività aziendale ed alla natura dei dati raccolti (che secondo il GDR spetta al management aziendale)
  3. la implementazione di misure correttive atte a minimizzare il rischio ANCHE dal punto di vista informatico, cosa che richiede l’intervento delle funzioni IT e di sicurezza

Data Controller e Data Processor

Non si può capire cosa sia il GDPR senza aver capito appieno chi è il Data controller, chi è il Data processor e come gira il fumo 🙂

Data Controller

chi cavolo è il data controller?

Il Data controller secondo il GDPR è il responsabile del trattamento dei dati, insomma quello che decide:

  • che dati raccogliere
  • per cosa utilizzarli
  • valutare e gestire il rischio (attraverso lo strumento della DPIA)

In quanto responsabile, spetta al Data Controller (il CEO aziendale o chi per lui) definire quale sia il livello di rischio accettabile e quindi quali siano le misure di mitigazione corrette da mettere in piedi tenendo presente i vincoli dettati dal GDPR.

Questo non significa che altre funzioni aziendali non siano coinvolte nel processo di definizione; HR, MKTG, Sales ed IT sono componenti attive del processo. Ma alla fine la decisione spetta a chi ha la responsabilità, e questa ricade, secondo il GDPR, sul Data Controller in quanto è l’owner delle attività di business e quindi l’unico che possa valutare, come richiede GPR esposizione e rischio.

Data Processor

Ma allora chi o cosa cavolo è un data processor?

Il data Processor altri non è che chi materialmente si occupa delle attività di raccolta e processo dei dati. In quest’ottica, ad esempio, il data processor può essere sia l’operatore marketing che fa le interviste telefoniche e raccoglie i dati, che la struttura IT che gestisce la struttura informatiche che questi dati manipola e gestisce seguendo le istruzioni impartite dal Data Controller..

Mentre il Data controller è una funzione aziendale interna, il data processor può essere anche una entità esterna. è il caso di servizi offerti da terzi: dai cloud providers, alle agenzie di marketing la variabilità dei data processor dipende da come i dati ed il business è stato disegnato ed implementato.

Essendo il Data controller chi decide quale sia il livello di rischio accettabile e quindi le opportune misure di mitigazione il processo di implementazione del GDPR non può partire dai data processor che invece sono le funzioni “implementative”.

Per esemplificare al data controller spetta la definizione dei parametri di business e il livello di rischio accettabile. questo comporta assumersi la responsabilità di come i dati vengono raccolti, gestiti e protetti.

Al Data processor invece spetta l’implementazione operativa delle misure di sicurezza richieste dal Data controller e le operazioni generiche di gestione dei dati.

Insomma il GDPR non dice che devi usare encryption, ma dice che spetta al Data Controller decidere se questa sia una misura adatta a proteggere le libertà individuali associate an un non corretto uso dei dati raccolti in funzione degli imperativi di business.

ovviamente il Data Controller è libero di andare dalle funzioni IT per chiedere:

  1. si può fare?
  2. quanto costa?

ma non spetta all’IT decidere in seno alla implementazione o meno della misura.

Altri aspetti del GDPR richiedono attività che coinvolgono un corretto disegno della struttura manageriale e di reporting che sono di delicata implementazione vista la storica sclerosi delle strutture manageriali italiane storicamente avverse a qualsiasi cambiamento. ma questo è un punto su cui il GDOR non transige, pur non dando indicazioni specifiche richiede l’esplicita responsabilità aziendale nei confronti della implementazione del dettato di legge. alcuni vincoli tuttavia sono esplicitati in termini di legislazione locale anche in italia, ad esempio come si sta definendo la figura del DPO che, è chiaro dal dettato del GDPR, non ha responsabilità diretta sulla implementazione del GDPR che rimane in toto al data controller, e che deve avere il garantito livello di autonomia ed indipendenza dalle altre funzioni aziendali (il che taglia fuori, ad esempio, it managers, sales managers o ruoli simili).

L’inversione dell’onere della prova

Un aspetto probabilmente non ancora ben digerito della nuova normativa è il concetto sottointeso di inversione dell’onere della prova.

Spetta al Data controller dimostrare di essere compliant al GDPR in caso di controlli e o di incidenti.

in altre parole:

sei colpevole se non dimostri la tua innocenza

Questo significa che gli obblighi indicati dal GDPR non sono formali ma sostanziali, e la loro implementazione deve essere formalmente dimostrabile, altrimenti, indipendentemente che ci si sia comportati bene o meno, si è formalmente e sostanzialmente non conformi e quindi perseguibili a termini della normativa.

Insomma non possiamo “ciurlare nel manico” più di tanto, ma siamo obbligati a mettere in piedi processi dimostrabili in maniera chiara, attraverso documentazione, reporting, funzioni aziendali correttamente definite.

 

 

 

 

lunedì 6 febbraio 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuole sapere: a chi hai dato i dati ("so spariti i dati")?

Se ricordi ho scritto nel post precedente (faccio finta che qualcuno li legga, sai) di cosa dovresti fare per iniziare ad affrontare questa rogna del GDPR. La prima era assumere un DPO, la seconda riguardava i dati…

Ma che sono ‘sti dati?

voglio dire tutti parlano di dati, ma cosa vuol dire? dove sono? chi sono? cosa fanno?

Allora visto che sto scrivendo in italiano assumo che tu che leggi sia italiano e probabilmente interessato alla versione italiana della storia.

Quindi vediamo cosa dice il garante al riguardo:

 


http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/diritti/cosa-intendiamo-per-dati-personali

Sono dati personali le informazioni che identificano o rendono identificabile una persona fisica e che possono fornire dettagli sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc..

Particolarmente importanti sono:

  • i dati identificativi: quelli che permettono l’identificazione diretta, come i dati anagrafici (ad esempio: nome e cognome), le immagini, ecc.;
  • i dati sensibili: quelli che possono rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, lo stato di salute e la vita sessuale;
  • i dati giudiziari: quelli che possono rivelare l’esistenza di determinati provvedimenti giudiziari soggetti ad iscrizione nel casellario giudiziale (ad esempio, i provvedimenti penali di condanna definitivi, la liberazione condizionale, il divieto od obbligo di soggiorno, le misure alternative alla detenzione) o la qualità di imputato o di indagato.

Con l’evoluzione delle nuove tecnologie, altri dati personali hanno assunto un ruolo significativo, come quelli relativi alle comunicazioni elettroniche (via Internet o telefono) e quelli che consentono la geolocalizzazione, fornendo informazioni sui luoghi frequentati e sugli spostamenti.

LE PARTI IN GIOCO

Interessato è la persona fisica cui si riferiscono i dati personali. Quindi, se un trattamento riguarda, ad esempio, l’indirizzo, il codice fiscale, ecc. di Mario Rossi, questa persona è l”interessato” (articolo 4, comma 1, lettera i), del Codice);

Titolare è la persona fisica, l’impresa, l’ente pubblico o privato, l’associazione, ecc., cui spettano le decisioni sugli scopi e sulle modalità del trattamento, oltre che sugli strumenti utilizzati (articolo 4, comma 1, lettera f), del Codice);

Responsabile è la persona fisica, la società, l’ente pubblico o privato, l’associazione o l’organismo cui il titolare affida, anche all’esterno della sua struttura organizzativa, specifici e definiti compiti di gestione e controllo del trattamento dei dati (articolo 4, comma 1, lettera g), del Codice). La designazione del responsabile è facoltativa (articolo 29 del Codice);

Incaricato è la persona fisica che, per conto del titolare, elabora o utilizza materialmente i dati personali sulla base delle istruzioni ricevute dal titolare e/o dal responsabile (articolo 4, comma 1, lettera h), del Codice).

____________________________________________________________________________________________________

Partiamo dalla definizione:

I dati che rendono identificabile o identificano una persona significa tutte le informazioni che ci permettono di risalire ad una persona fisica, con l’estensione anche al capire cosa fa, cosa gli piace ….

La quantità di dati che rientrano in questa categoria è estremamente ampia, il garante si è espresso diverse volte in merito mettendo persino gli indirizzi IP in questa categoria. Cosa significa?

Gestiamo quotidianamente una enorme mole di dati: li distribuiamo in giro, sia nostri che di altri, senza spesso neanche rendercene conto. Se usi un telefono, la posta elettronica, le chat, i social media allora magari sai di cosa sto parlando anche senza rendertene pienamente conto. Se vuoi sapere dove si trova il tuo amico, collega, cliente puoi magari verificare su una qualche funzione di geolocalizzazione offerta da diverse apps o condividere direttamente coordinate o …

Ops scusa sto divagando.

Il punto è che magari non ti rendi neanche conto di questa cosa.

Cosa sono questi fantomatici dati:

Proviamo a trasferirla in area aziendale per vedere se riesci ad allargare i tuoi confini di comprensione.

Molto di quello che si fa in una azienda è, oggi come oggi, legato a doppio filo con la digitalizzazione.

Pensaci bene:

  • Comunichi principalmente via e-mail: offerte, contratti, proposte, CV per le assunzioni, comunicazioni interne, chiacchiere …ci passa un sacco di roba
  • Utilizzi il web sia per recuperare informazioni (hai presente la pagina di google che interroghi sempre) quanto per comunicare esternamente (magari vendi online, magari hai un sito web, magari fai marketing online…)
  • Forse hai anche una presenza social (traduco roba tipo facebook o linkedin)
  • Probabilmente usi un sistema di contabilità informatizzato
  • Un CRM magari
  • Hai un elenco dei clienti, con le loro email, i telefoni, forse anche i riferimenti Skype e social e altre informazioni da qualche parte…se sei in gamba forse hai anche le date di nascita (sa come è, per fare gli auguri) e altri particolari.
  • hai un elenco di dipendenti con i loro dati tipo conto corrente, contatto familiare, stipendio …
  • trasporti questi dati, li salvi, li processi e magari qualche volta li vendi anche (ci sono aziende che lo fanno come mestiere)

E la cosa interessante è che magari non ti rendi conto che in quello scambio di informazioni hai mescolato elementi di business e personali.

Ora il problema del signor GDPR e del suo perfido assistente DPO che pretende di sapere dove sono questi dati per farteli gestire e proteggere.

Dove sono?

ti ho scritto qualche giorno fa che le prime 2 cose dovresti fare è iniziare a mappare i dati per capire dove sono e se sono importanti.

per fare questa operazione la cosa più semplice è passare piano piano le vare funzioni, operazioni e tools che usi, mappare i dati relativi in termini di:

  1. cosa sono
  2. come li raccolgo
  3. dove sono
  4. come li gestisco
  5. sono importanti per GDPR

ti suggerisco di usare un duplice approccio: uno funzionale e uno per tecnologia e ppoi incroci

ad esempio quello funzionale può essere:

  1. vendite -come gestisco la vendita, come viene fatta l’offerta, come viene comunicata, che dati trattengo del cliente, offro servizi post vendita …
  2. marketing – tramite che canali comunico, faccio eventi, uso database …
  3. gestione del personale – come gestisco i dati dei dipendenti, dove metto i cv se faccio richieste personali
  4. produzione – …

quello tecnologico invece può essere:

  1. cosa comunico tramite la posta elettronica
  2. gestisco l’accesso al web dei dipendenti, proxy
  3. uso app, chat, videoconferenza
  4. uso servizi cloud
  5. uso database
  6. uso archivi cartacei (si contano anche quelli)

il consiglio è, ovviamente, quello di incrociare poi le due cose per aiutarti a capire:

  1. quali dati effettivamente usi
  2. a cosa ti servono
  3. come li gestisci

siccome non ci hai mai pensato fare un lavoro su due fronti ti aiuta ad evitare a dimenticarti dei pezzi, e ti risulterà utilissimo poi quando dovrai fare la PIA … (non  nel senso di una persona molto religiosa…)

l’idea è quella di aiutarti a capire i dati nel suo complesso.

ricordi il mio post sulla gestione dei curriculum? ecco quello è un esempio.

ma voglio anche farti altri esempi: se fai andare i tuoi utenti su internet registri, anche se non lo sai, un sacco di dati che sarebbe opportuno tu gestissi correttamente:

i log dei tuoi firewall o proxy contengono dati a rischio, tipo l’IP, L’utente e il sito visitato

se hai un sito web con delle email pubbliche, servizi vari, blog, newsletter potresti ricevere comunicazioni che vanno gestite opportunamente o potresti ricevere sottoscrizioni che vanno gestite.

ma anche il semplice database dei tuoi dipendenti se dovesse essere attaccato e i relativi dati resi pubblici ti esporrebbe al rischio, se non hai messo in piedi le norme minime di protezione, di una sonora (e meritata) multa.

 

Che fare poi?

ok una volta che hai fatto la mappa dei dati ti ritrovi in mano un nuovo strumento che ti dice

  • che dati hai
  • a cosa ti servono
  • come li usi

a questo punto puoi iniziare a capire cosa dovresti fare per essere compliant con il GDPR.

Il primo punto è capire cosa rischi, qui entra in gioco la PIA

Il secondo punto è definire il valore di questi dati

Il terzo punto è iniziare a definire le azioni correttive che servono a gestire i dati.

Le azioni correttive coprono:

  1. la definizione delle procedure operative di raccolta e gestione dei dati
    1. metriche di misurazione e controllo per l’auditing
    2. definizione delle responsabilità operative
  2. l’introduzione delle corrette tecnologie
    1. valutazione delle tecnologie correnti
    2. definizione delle eventuali introduzioni tecnologiche di sicurezza o gestione dati
  3. la definizione delle procedure di monitoraggio ed auditing
  4. la definizione delle procedure di gestione delle eccezioni e degli incidenti

ora non voglio e non posso andare in ulteriori dettagli, non fosse per altro che:

  1. non esiste una soluzione adatta a tutti
  2. anche esistesse, se faccio io il lavoro qui gratis non ci guadagno
  3. mica sto scrivendo un libro, ma solo una serie di amichevoli consigli.

dai sorridi, almeno io ti ho lanciato qualche avvertimento, e sai come si dice: uomo avvisato ….

 

venerdì 3 febbraio 2017

Guida al GDPR per chi non ne vuole sapere: devi iniziare, ma cosa devi fare?

Hai già realizzato che tra un anno dovrai essere conforme alle nuove leggi sulla privacy dettate dal GDPR?

Ok Ok ho capito

devi pensare di passare da il tuo:

“chissenfrega della privacy tanto non è una roba di business “

a

“ops se stavolta non faccio le cose per bene rischio una multa fino al 4% sul mio fatturato. maledetto @#][<> GDPR

 

e stai entrando in ansia.

a dire il vero non credo tu lo stia facendo, anzi credo che continui a dire la prima frase come un mantra, ma facciamo finta che tu ti sia reso conto che stai per andare a metterti un un fiume di rogne se non fai qualche cosa, il punto è cosa fare?

Vediamo se ti posso aiutare. Certo, vorrei poterti spiegare cosa sia il GDPR cosa significhi data privacy e data protection, ma siccome so che non sei interessto a capire il perchè ma solo il cosa cercherò di essere il piu elementare possibile.

Passo numero uno, ti serve un DPO

Che cavolo è un DPO?

Il DPO è il tizio che ti dovrebbe aiutare a gestire le richieste derivanti da questo signor GDPR che nessuno, al momento, ti ha ancora presentato ma che sembra sia ansioso di darti multe e prendere i tuoi soldi.

DPO in inglese sarebbe Data Protection Officer, che in italiano puoi tradurre come Responsabile della Protezione dei Dati: ma come non ti bastava dover prendere un IT manager (quando lo hai)?

Ora lo so che tu vorresti chiamare il tuo IT manager e dirgli,

fai te prendi uno dei tuoi e dagli sta sola AGGRATIS

ma, purtroppo, temo non funzioni così.

Il signor GDPR, un perfido europeo insensibile ai tuoi bisogni, ha imposto che questo DPO deve essere un ruolo che gode di una certa indipendenza, e addirittura sembra che l’orientamento sia quello di dire che questo signore è incompatibile col ruolo di IT manager (una ditta tedesca è gia stata sanzionata per questo, ma si sa i tedeschi sono pignoli).

Ti dirò di più un DPO deve avere garantita autonomia per darti le indicazioni su come implementare la conformità alle richieste del signor GDPR  ma tu mantieni la responsabilità delle scelte aziendali, come a dire

  • se lui ti dice di fare “A” e tu invece fai “B” il responsabile sei tu
  • se lui ti dice di fare “B” perché tu gli hai detto che vuoi cosi il responsabile sei tu
  • comunque io responsabile sei tu.

andiamo bene, già sono sicuro che la cosa non ti piace, se ti stava antipatico il signor GDPR ora immagino incominci a detestare anche questo signor DPO, chiunque esso sia.

Voglio essere sincero con te, in Italia si sta ancora discutendo cosa sia un DPO, c’è chi dice un giurista, c’è chi dice sia un informatico,io ti dico è un po di tutti e due… ma in caso sia un giurista specializzato ti costerà di più … sai bene che gli specialisti IT li prendi per un tozzo di pane dal cognato del fratello dell’amico del cognato del salumiere.

Il problema del DPO è che deve spiegarti (non lo invidio) cosa DEVI fare per mettere in sicuro i dati che gestisci e che possono essere soggetti al GDPR. ma questo richiede:

  1. di capire le leggi sulla privacy
  2. di capire come i sistemi di gestione dei dati sono implementati
  3. di capire come funzioni il tuo business
  4. di capire come proteggere i dati in funzione dei tuoi sistemi, del tuo business e delle leggi sulla privacy

Insomma, il DPO dovrebbe essere un manager di provata esperienza cosa che, da sola, è quasi insopportabile, e mettere il naso nelle tue cose.

ora hai diverse scelte:

  1. puoi usare un consulente esterno
  2. puoi assumere o specializzare una persona interna
  3. puoi fregartene (come stai facendo al momento) e rischiare allegramente la multa.

ovviamente i tre punti hanno pro e contro, se usi un esterno devi pagarlo ma puoi cambiarlo se on fa quello che vuoi tu, se usi un interno rischi che no possa fare il suo lavoro precedente, se te ne freghi beh, spera che non ti becchino.

E dopo che hai preso un DPO?

Ora supponiamo che alla fine ti sia messo una mano sul cuore ed una sul portafoglio ed hai scelto l’opzione 1 o 2 (escludo la 3)

che fare?

il primo step da seguire è mettere insieme tutte le teste pensanti della tua azienda, la gente IT ed il DPO e fare 2 cose:

  1. scoprire dove sono i dati soggetti al GDPR e come li gestisci
  2. effettuare una robaccia che si chiama PIA (Privacy Impact Assessment) che vuol dire, basicamente,

questi primi due passi sono importantissimi perchè, diciamocelo chiaro, tu non hai la minima idea di

  • cosa siano i dati,
  • dove siano,
  • come li usi,
  • a cosa ti servono,
  • come li raccogli,
  • come li gestisci ,

La cosa spaventosa è che di sicuro il signor GDPR obbligherà le aziende a farsi carico si una enorme quantità di dati da proteggere.

Cerco di essere chiaro: tutti i dati  che possono essere utilizzati per fare riferimento ad una persona che vive sono dati personali ai sensi GDPR:

  • ID,
  • cookie,
  • indirizzi IP,
  • indirizzi di posta elettronica,
  • ogni identificatore di dispositivo personale
  • i metadati senza identificatore che possono essere afferiti ad una persona
  • ….

Non sai di che parlo? SALLO!!!!

ok ok lo so non ne capisci nulla di sta roba, per questo ti dicono che devi usare un DPO che, in qualche modo, deve essere capace di parlare con te e i tuoi managers e spiegarVi le cose, con l’IT manager e spiegargli le cose, con chi si occupa di sicurezza …..

capire dove siano questi dati, cosa siano non è quindi elementare, ma almeno una volta che lo hai fatto puoi passare al secondo step, la PIA.

No la PIA non è la Paperon Intelligence Agency

Non devi aspettarti che Paperino venga in tuo soccorso. la PIA è uno strumento che ti aiuta a capire i rischi cui sei soggetto gestendo i dati che stai gestendo e che neanche sapevi che stavi gestendo.

la PIA ti serve per capire cosa si rischia e come si protegge. purtroppo la PIA richiede che il tuo DPO, l’IT manager e il responsabile della sicurezza siano in grado di fare queste valutazioni, il che significa, implicitamente, che il cognat del vicino del fratello del salumiere sotto casa a cui fai riferimento come “guru” economico per tutte le tue esigenze IT probabilmente non sarà abbastanza.

Insomma se la PIA alla fine ti dice che sei messo maluccio non ti stupire, anzi stupisciti se ti dice il contrario.

…. e finalmente puoi iniziare a lavorare

una volta che hai DPO, e PIA puoi finalmente iniziare a ragionare su cosa ti serve, aspettati parecchio lavoro in termini di:

  1. come gestisci i tuoi dati
  2. policy e procedure da implementare
  3. tecnologie e, scusa la parolaccia, roba IT che manca o va gestita davvero tipo: backups, databases, sicurezza …

la cosa cattiva è che dovrai lavorarci parecchio

la cosa buona è che potresti scoprire che gestire bene le cose alla fine può anche farti lavorare meglio, anche se probabilmente in maniera diversa da prima.

se vuoi ne parliamo, fammi sapere….

 

 

mercoledì 14 dicembre 2016

Caro HR Manager: Storia di un CV e della sua privacy (GDPR lo dici a tua sorella)

Caro HR Manager: Storia di un CV e della sua privacy (GDPR lo dici a tua sorella)

Sono un poco preoccupato, perché la mia impressione è che in Italia, a fronte di una delle legislazioni più severe d’Europa e i nuovi vincoli introdotti od in via di introduzione dal GDPR, il concetto di privacy sia altamente sottovalutato.

Il problema ovviamente è insito nella storica sottovalutazione italica dell’impatto delle strutture informatiche all’interno dei processi produttivi, decisionali e manageriali.

Insomma non ci si interessa, non si capisce, e non si valuta. Di conseguenza non si correggono comportamenti errati e, allo stesso tempo, non si sfruttano le nuove possibilità rimanendo al palo delle nuove tecnologie con buona pace di chi (da Olivetti a Faggin, ma potremmo citare Marconi e Meucci) avevano fatto dell’Italia la piattaforma del nuovo.

Vabbè

Polemiche parte vediamo di capire con un esempio così semplice che persino un ufficio HR potrebbe capire, cosa significa gestire la privacy e la protezione del dato.

Ti arriva un nuovo CV: cosa hai capito della privacy e del GDPR?

Immaginiamo che il vostro ufficio HR riceva un CV di un possibile candidato. Cosa non tanto strana in tempi in cui la ricerca del lavoro è fondamentale (anche io ne ho mandati in giro centinaia recentemente).

Immaginiamo anche che il CV arrivi via posta elettronica (cosa abbastanza consueta) e che giusto perché ci sono posizioni aperte il medesimo venga fatto girare tra qualche potenziale interessato. Ad esempio l’hiring manager.

Non mi interessa in questo momento sapere come finirà la storia dell’essere umano dietro quel pezzo di carta, con i suoi bisogni, aspirazioni e potenziale. Mi interessa proprio il pezzo di carta, virtuale.

Come potete immaginare quel pezzo di carta contiene dati personali, in quanto sono riferibili ad una persona fisica.

OPS va a finire che per questo devo trattarli in maniera coerente alle disposizioni di legge? Va a finire che il GDPR (qualunque cosa esso sia) viene convolto?

Temo proprio di si.

CV, CV che farne?

Allora in teoria, ammesso e non concesso che tu sia interessato in qualche maniera ad essere allineato ai dettami di legge, dovresti processare questi dati di conseguenza.

Non voglio qui fare una dissertazione di dettaglio sul GDPR, ma mi limito ad alcune considerazioni banalotte, giusto per aiutarti ad evitare una multa salta.

Il cv in questione probabilmente finirà in:

  • Diverse caselle di posta
  • Come file in qualche cartella personale eo condivisa
  • Magari in un database se sei abbastanza grande da memorizzare i cv dei candidati
  • Stampato su qualche scrivania
  • ….

Ora siccome quel pezzo di carta (virtuale e non) contiene dati personali, e magari sensibili (che so il tuo ultimo stipendio, il tuo IBAN, l’indirizzo della tua amante … ) tu che lo ricevi dovresti avere in piedi un processo di gestione che tenga presente che questi dati devono:

  • essere conservati in maniera sicura
  • deve essere possibile per il proprietario dei dati (che non sei tu, è il tipo che ha scritto il cv) chiederne la modifica
  • deve essere possibile per il proprietario dei dati (ancora non sei tu) la cancellazione.
  • Dovresti anche essere in grado di determinare quale sia la vita, all’interno dei tuoi sistemi, di questi dati e l’uso che ne fai.

Che tu ci creda o meno questo richiede di avere dei processi definiti che riguardano la “vita” di quel coso che so, adesso, incominci ad odiare.

Insomma dovresti sapere cose del tipo (tra loro strettamente correlate):

per quanto tempo tengo questa cosa nei miei sistemi?

Come salvo questi dati?

Come li cancello?

Sembra facile ma tu sai veramente che succede ai CV che ricevi?

Hai definito una “retention policy” su questi dati?

Traduco, hai una regola standard che definisce quanto tempo puoi tenere questi dati? Mesi? Anni? Lustri? Per sempre? Ma che @#?§ vuoi che me ne freghi ammé?

Ok la ultima e la tua policy attuale lo so, ma temo non sia la risposta che meglio si adatta alla nostra legislazione.

Quanto tengo quell’oggetto ed i relativi dati in casa è importante perché:

  • Il dato, fino a che lo tengo, va gestito, conservato, protetto secondo legge
  • Ne sono legalmente responsabile
  • Quando lo cancello lo devo fare davvero

Ora il punto uno è già un punto dolente. Significa che tu dovresti sapere questa roba dove si trova nei tuoi sistemi. E non importa se in forma cartacea o elettronica….

Il punto è dolente anche perché ti impone di utilizzare tecniche coerenti per la protezione, salvataggio, recupero ed accesso al dato.

Insomma vediamo se riesco a spiegartelo: se lo salvi in un database o lo metti su una cartella, devi garantire in qualche maniera che l’accesso non sia concesso proprio a chiunque, anche all’interno della azienda.

Se poi ha iniziato a girare via email so che può essere complicato evitare che vada ovunque quindi, magari, sarebbe opportuno che queste cose le sappiano tutti in azienda, non solo lo sfigato di turno che deve farsi carico di sta roba pallosa che è la privacy.

Insomma di a chi lo ha ricevuto che va trattato in maniera adeguata, magari cancellandolo se non serve più, altrimenti come garantisci la adeguata protezione ed il ciclo di vita?

Poi, ovviamente, l’IT dovrebbe garantire la protezione anche da intrusioni esterne:

qualcuno la chiama cyber security,

altri sicurezza informatica,

tu “quelle cose li da tecnici che non ci capisco niente però ho l’antivirus che non aggiorno da 6 mesi perché mi rallenta il computer”

tu “quelle cose li da tecnici che non ci capisco niente però ho l’antivirus che non aggiorno da 6 mesi perché mi rallenta il computer”

In teoria dovresti anche avere sistemi di salvataggio e recupero adeguati. Una roba che si chiama backup e recovery, magari ne hai sentito parlare l’ultima volta che hai perso tutti i tuoi dati …

Il tutto perché se non lo fai e, disgraziatamente, ti becchi un ransomware, o ti entrano nei sistemi e finisci sui giornali perché hanno pubblicato la foto dell’amante che il tuo candidato che aveva messo sul cv, qualcuno che ti ha mandato il cv potrebbe porsi domande e chiedere conto delle tue azioni, e sai la cosa brutta quale è? … che non è tutta colpa dell’IT (fonte di tutti i mali, notoriamente) secondo la legge …

Lo odi sempre più sto cv vero?

Pensa che la cosa è ancora più complicata perché: si qualcuno si deve far carico dei backup, testare di tanto in tanto i restore.

Roba che il buon Monguzzi non finisce mai di ricordarci, ma che puntualmente ignoriamo J

Ma lasciami aggiungere un altro pezzettino. Se il dato lo cancelli deve essere cancellato davvero. Questo significa la cancellazione di tutte le copie presenti in azienda:

  • email
  • dischi
  • database
  • backups

Lo sapevi? No?

Se non lo sai sallo!

 

Privacy e gestione del dato

So di essere controcorrente scrivendo queste cose, e che hai cose molto più importanti a cui pensare. Ma se volessi potrei continuare parlando al tuo marketing, al tuo ufficio vendite, al tuo ufficio acquisti, a chi ti gestisce il sito web e probabilmente anche al tuo IT manager che se gli si dice GDPR risponde a te e tua sorella!

 

probabilmente anche al tuo IT manager che se gli si dice GDPR risponde a te e tua sorella!

Il punto è che queste cose sembrano complicate, ma in realtà non lo sono davvero. Basterebbe capire cosa significa integrare i dati nei processi aziendali, e disegnare i medesimi tenendo conto delle esigenze di legge, di business e della tecnologia corrente.

Certo significa anche che non puoi trattare la privacy come una rottura di scatole che non ti riguarda, esattamente come non dovresti fare con l’IT.

Pensaci e se eviterai una multa forse mi ringrazierai anche, finita la sequela di improperi che mi sono meritato per averti detto queste cose.Ciao

lunedì 1 febbraio 2016

Privacy Impact Assessment

Privacy Impact Assessment

Privacy impact assessments (PIAs) are tools which can help organizations identify the most effective way to comply with their data protection obligations and meet individuals’ expectations of privacy. An effective PIA will allow organizations to identify and fix problems at an early stage, reducing the associated costs and damage to reputation which might otherwise occur. PIAs are an integral part of taking privacy by design approach.

Key points:

A PIA is a process which assists organizations in identifying and minimizing the privacy risks of new projects or policies.
Conducting a PIA involves working with people within the organization, with partner organizations and with the people affected to identify and reduce privacy risks.
The PIA will help to ensure that potential problems are identified at an early stage, when addressing them will often be simpler and less costly.
Conducting a PIA should benefit organizations by producing better policies and systems and improving the relationship between organizations and individuals.
A privacy impact assessment states what personally identifiable information (PII) is collected and explains how that information is maintained, how it will be protected and how it will be shared.

A PIA should identify:

Whether the information being collected complies with privacy-related legal and regulatory compliance requirements.

The risks and effects of collecting, maintaining and disseminating PII.
Protections and processes for handling information to alleviate any potential privacy risks.
Options and methods for individuals to provide consent for the collection of their PII.
PIAs are not something organizations did a lot (or any) of 15 years ago, although key compliance issues were still considered. Moving from then to now, awareness and significance of data protection has increased. More sophisticated technology has enabled more sophisticated data processing, on a greater scale, and in more intrusive ways. Not addressing the risks may cause damage or distress to individuals, low take-up of a project by customers, damage to relationships and reputation, and time and costs in fixing errors (as well as penalties for non-compliance). A project may partly or wholly fail. These are some of the drivers for carrying out PIAs, and for them to become a new legal requirement under EU data protection law.

Existing PIA frameworks

In the UK, the Information Commissioner’s Office has promoted PIAs for a number of years, although the Data Protection Act 1998 does not require PIAs to be carried out. The ICO published a PIA Handbook in 2007, which was replaced in 2014 by a more up-to-date PIA Code of Practice. Some sectors have additional PIA requirements or guidance. For example, government departments were required to adopt PIAs following a data handling review by the Cabinet Office in 2008. PIAs and PIA methodologies are also promoted in many other countries around the world.

A lot of organizations have therefore already integrated PIAs into project and risk management procedures, following existing recommendations and guidance. Other organizations may not yet be so familiar with PIAs, as they are not yet compulsory for most sectors.

Either way, EU organizations will need to adopt new PIA procedures, or review and adapt existing procedures, in order to meet the new requirements.

New legal requirement under the GDPR

The compromise text of the EU General Data Protection Regulation (GDPR) was published on 15 December 2015. At the time of writing, it is expected to have final approval soon, and then come in force in early 2018. Article 33(1) contains the new obligation for conducting impact assessments:

‘Where a type of processing in particular using new technologies, and taking into account the nature, scope, context and purposes of the processing, is likely to result in a high risk for the rights and freedoms of individuals, the controller shall, prior to the processing, carry out an assessment of the impact of the envisaged processing operations on the protection of personal data…’

As the GDPR is a data protection law, the requirement is for a data protection impact assessment (DPIA). This applies to the processing of personal data recorded in electronic or paper-based format. There may also be privacy issues associated with non-personal information, for example communications data or information about corporate entities; and relevant legal requirements include communications laws, direct marketing rules and confidentiality requirements. Wider privacy issues can also arise from, for example, surveillance, bodily testing or searching, which may also trigger human rights and other privacy laws. Often these matters go hand-in-hand with data protection issues, as personal data is recorded as a result of the relevant activities, but separate privacy concerns can also arise. Therefore, whilst this article focuses on data protection impact assessments under the GDPR, PIAs may also address wider privacy risks.

When a DPIA will need to be carried out

Article 33 requires a DPIA to be carried out where processing is ‘likely to result in a high risk’. Article 33(2) contains a list of cases where DPIAs shall, in particular, be carried out:

‘(a) a systematic and extensive evaluation of personal aspects relating to natural persons which is based on automated processing, including profiling, and on which decisions are based that produce legal effects concerning the individual or similarly significantly affect the individual;
(b) processing on a large scale of special categories of data referred to in Article 9(1), or of data relating to criminal convictions and offences referred to in Article 9a;
(c) a systematic monitoring of a publicly accessible area on a large scale.’
The first of these would capture many data analysis activities, for example where an evaluation of a person’s characteristics or behaviors impacts the services they may receive or how they are treated. The definition of ‘profiling’ lists performance at work, economic situation, health, personal preferences, interests, reliability, behavior, location and movements as matters which may be analyzed or predicted.

Large-scale use of sensitive types of data is captured by (b). As well as the existing categories of sensitive personal data under the DPA, this now captures genetic and biometric data.

Thirdly, large-scale public monitoring would require a DPIA, which may include use of CCTV, drones or body-worn devices.

In addition, under Articles 33(2a) and 33(2b), the supervisory authority (the ICO in the UK) shall establish a list of the kind of processing operations where a DPIA is required and may establish a list of processing operations where no DPIA is required.

The lists are subject to (where appropriate) co-operation with other EU supervisory authorities and the EU Commission, and must take into account opinions of the (new) European Data Protection Board.

Article 33 requires the DPIA to be carried out ‘prior to the processing’; in other words, prior to starting the relevant activities. A post-implementation review would be too late (although may still be of benefit if a DPIA was not undertaken previously).

Organizations will therefore need to identify whether projects or activities which arise fall within a category described above or may otherwise result in a high risk. Even within organizations which do not regularly carry out high-risk data processing, changes to existing activities can turn previously low risks into high ones. For example, adopting new technology to assist with an established business procedure can affect how personal data is used.

Identifying the need for a DPIA is commonly achieved by an initial assessment during project planning (as is also recommended within the ICO’s PIA Code of Practice). At that stage, business teams can identify intended uses of personal data and assess potential data protection risks. The outcome determines whether or not to proceed further with a DPIA.

Of course, even if an initial assessment does not determine a high risk or trigger specific DPIA requirements under the GDPR, organizations may wish to continue with an assessment to address lower data protection risks and ensure compliance.

Exception to the DPIA requirement

Article 33(5) contains a potential exception for regulated activities carried out pursuant to a legal obligation or public interest. The controller may not be required to carry out a DPIA if one has already been carried out as part of setting the legal basis for those activities. Recital 71 refers to activities of doctors and attorneys in using health and client data – it is unclear whether this is touching on the same point – it seems to indicate that such processing activities shall not be considered as being on a ‘large scale’ rather than being a specific exception.

Procedure for carrying out a DPIA

Article 33(1a) provides that the controller shall seek the advice of the data protection officer, where designated (in accordance with Article 35), when carrying out a DPIA.

Article 33(3) provides that the DPIA shall contain at least:

‘(a) a systematic description of the envisaged processing operations and the purposes of the processing, including where applicable the legitimate interest pursued by the controller;
(b) an assessment of the necessity and proportionality of the processing operations in relation to the purposes;
(c) an assessment of the risks to the rights and freedoms of data subjects referred to in paragraph 1;
(d) the measures envisaged to address the risks, including safeguards, security measures and mechanisms to ensure the protection of personal data and to demonstrate compliance with this Regulation taking into account the rights and legitimate interests of data subjects and other persons concerned.’
These steps are comparable to those within the ICO’s PIA Code of Practice, which is useful in considering what they might mean in practice.

Firstly, an organization must describe the proposed flows of information involved in the activity or project, ensuring it is clear how and why personal data is being used at each stage. Diagrams as well as written descriptions can be useful to convey this.

Secondly, an organization must assess whether the proposed use is of data necessary and proportionate to its legitimate purposes; for example, are there alternative ways to achieve the same project objectives?

Next it is clear that a DPIA involves a risk assessment. This involves considering the potential impacts of proposed activities on the relevant individuals and the organization, and the likelihood of such impacts arising. Impacts may include, for example, loss or misuse of data, intrusion into private lives, lack of transparency and non-compliance. Solutions must then be found to avoid or mitigate risks and demonstrate compliance. These may include introducing additional elements into the project (such as anonymisation, pseudonymisation or security measures), or changing aspects of the project (such as collecting less data or doing fewer processing operations).

Organizations may use risk assessment methodologies already in place for other legal or organizational risks, or may create tailored risk assessments for the purpose of DPIA procedures.

Article 33(3a) provides that compliance with approved codes of conduct shall be taken into account in assessing data protection impacts. Codes of conduct relating to different sectors or types of activity may be approved under Article 38.

Consultation with data subjects

Article 33(4) requires controllers, ‘where appropriate’ to ‘seek the views of data subjects or their representatives on the intended processing, without prejudice to the protection of commercial or public interests or the security of the processing operations’.

This means consulting with those whose privacy is affected by the proposed activities, as it is these privacy risks that the DPIA is seeking to address. However, it may not always be appropriate to do this, for example when protecting overriding interests to keep aspects of the proposed project confidential. Public sector organizations, in particular, may already have formal consultation processes, and the ICO’s PIA Code of Practice also gives guidance on consultation, but this may be a new consideration for some organizations.

Data processors

Article 26(2) sets out requirements for the terms of contracts between data controllers and data processors (which are more detailed than the current requirements under the DPA). These include that the processor shall assist the controller in ensuring compliance with requirements for DPIAs.

The processor’s role may be particularly important, for example, where it is providing technology central to the relevant project, as it will be in the best position to identify and address privacy and security risks relating to its own technology.

Consultation with supervisory authorities

Article 34 contains a procedure for consultation with the supervisory authority (the ICO in the UK) as a result of (or potentially as part of) a DPIA. Recital 74 indicates the intention for consultation where the controller considers that high risks cannot be mitigated by reasonable means. However, Article 34 states that consultation is required where the processing would result in a high risk in the absence of mitigating measures. As DPIAs are required only for high-risk activities, this could mean consultation is always needed following required DPIAs. Further clarity on the intended interpretation would therefore be useful, as it is likely to have a big impact on timetables and resources for controllers and the ICO.

As part of the consultation, the supervisory authority must give advice to the controller where it is of the opinion that the intended activities would not comply with the GDPR. If appropriate mitigating measures have been established, therefore, perhaps no further action is required. Advice must generally be given within eight weeks although this may be extended in complex circumstances. The authority may also use its other powers (eg to investigate further or order compliance).

The ICO already provides support to organizations which wish to consult on data protection matters, but the GDPR will require a more formal process and resources for DPIA consultation. For controllers, consultation could assist in finding solutions, though it could also delay or restrict projects.

Post-implementation reviews

Article 33(8) provides:

‘Where necessary, the controller shall carry out a review to assess if the processing of personal data is performed in compliance with the data protection impact assessment at least when there is a change of the risk represented by the processing operations.’

Regular post-implementation reviews or audits can be used to assess whether the risks have changed, and ensure the solutions identified during the DPIA have been and continue to be adopted appropriately.

Data protection by design and by default

Article 23 contains general requirements for data protection by design and by default. These mean that measures designed to address the data protection principles should be implemented into processing activities, and that the default position should be to limit the amount of data used and the processing activities to those which are necessary for the relevant purposes. Carrying out DPIAs, even where particularly high risks have not been identified, may be a good way to demonstrate these matters are being addressed.

EU Directive for the police and criminal justice sector

The GDPR has been prepared alongside the new Data Protection Directive for the police and criminal justice sector, which will separately need to be implemented into UK law. Articles 25a and 26 of the Directive contain requirements similar to those in the GDPR in relation to DPIAs and consultation with the supervisory authority.

What to do now

DPIAs will not become a legal requirement under the GDPR for a couple of years yet. However, there are benefits in starting (or continuing) now to build DPIA (or PIA) processes into existing project and risk management procedures. As well as the existing advantages of DPIAs, this will enable them to be part of business as usual when the new law arrives. In addition, DPIAs conducted now will ensure that high-risk data processing activities in existence when the GDPR takes effect will have had the prior assessment envisaged by the new requirements.

It is, of course, still early days in working out how the detail of the provisions discussed above will be interpreted in practice, and we can expect further guidance at UK and EU level (including the required lists of activities which will require a DPIA). Existing PIA guidance, such as within the ICO’s Code of Practice, should help organizations to get on track, and procedures can be refined further as we get more clarity on the specific GDPR requirements.

martedì 21 ottobre 2014

Il prossimo avvocato che parla di privacy a sproposito lo mordo...

Ok l’argomento è ostico, lo so, e le leggi italiane che hanno a che fare sulla privacy sono tutto fuor che chiare e comprensibili. Scritte in un limbo che si trova tra il non capire l’argomento, non avere le corrette referenze tecniche informatiche, e una area nuova anche dal punto di vista della tecnica legale, soffrono di uni problema di diffusione, comprensione ed interpretazione.

Ma a fronte di taluni esperti che sanno di che cosa si parla, spesso mi trovo di fronte ad imbarazzanti affermazione da parte di soggetti che la questione dovrebbero conoscerla almeno in maniera minima: avvocati e magistrati.

L’ultima terreno di contesa è stato la questione della registrazione delle telefonate. come molti sanno oggi sono disponibili sul mercato molte app, android, iOS o Windows che consentono di registrare le telefonate in uscita ed in entrata dal proprio smartphone.

L’oggetto del contendere è la liceità dell’uso di tali applicazioni. Una superficiale linea di pensiero, comune purtroppo anche presso molti che operano nel settore legale, associa l’atto di registrare la propria telefonata (in ingresso o in uscita) alle famigerate intercettazioni telefoniche.

Questa interpretazione è non solo sbagliata dal punto di vista tecnico, ma anche abbastanza curiosa. Nel concetto di intercettazione vi è la attività di un terzo che si appropria del contenuto di una comunicazione, mentre la registrazione effettuata da una delle due parti non implica la presenza di terzi.

E qui stà proprio la grande differenza, se durante lo scambio tra due controparti dirette vi è da parte di una delle due parti l’intenzione di registrare o in qualche modo memorizzare il contenuto della comunicazione questi non stà effettuando una “intercettazione” in quanto non è lemento terzo allo scambio di informazioni, ma parte in causa diretta. Non si può invocare, parimenti, la violazione della privacy, dal momento che il contenuto stesso della comunicazione è direttamente riservato ad entrambi le controparti.

Dal punti di vista tecnico informatico la cosa è anche più evidente se si considerano sistemi di comunicazione “asincroni” o con streaming via proxy. traducendo in linguaggio imano, se comunichiamo con sistemi che gestiscono i dati col meccanismo dello “store and forward” , tipico ad esempio di molte soluzioni Voip o di messenging, la registrazione della cominicazioneavvviene comunque persono durante la trasmissione per motivi strettamente tecnici (cache, performance, ottimizzazione e compressione …).  La registrazione e lo store dei dati di comunicazione è, ad esempio, obbligatorio nella trasmissione della mail. ma ricevere una mail da qualcuno non è “intercettarla” anche se rimane salvata sui client di posta e sui server.

Registrare una telefonata rientra nella stessa casistica. Non può essere considerato in alcun modo una violazione della privacy. Dobbiamo eventualmente chiederci quali siano i limiti di uso di tali registrazioni.

In questo caso la questione si fa più delicata, in effetti potremmo dover distinguere diverse casistiche, dovendo tenere in considerazione se l’oggetto della comunicazione può essere sottoposto a vincoli di uso perchè, ad esempio, contiene dati sensibili, o se vi è stato in precedenza un agreement sulle modalità di uso di tali dati tra le controparti, se le controparti sono civili o unaa o entrambe sono società….

In linea di massima si può dire che la registrazione può essere effettuata, quanto alla sua divulgazione dipende dalla natura delle informazioni scambiate. Ma questo è vero per qualsiasi modalità di comunicazione diretta o indiretta, la registrazione non ne altera lo status.

Altro punto da tenere presente è che la registrazione può essere comunque utilizzata, ad esempio, in sede legale tanto quanto sms o mail, persino se ci sono vincoli di non divulgazione.

Quindi il prossimo avvocato che mi dice che le registrare le telefonate non è legale, lo MORDO 🙂

PS1: in caso qualche avvocato\magistrato legga il post; ovviamente la ultima affermazione va intesa come scherzo e non vuole essere, in alcun modo, una minaccia rivolta ad alcun individuo specifico o categoria di lavoratori. Qualsiasi interpretazione diversa dal tono scherzoso è quindi da considerarsi arbitraria, fallace e, alla luce della presente dichiarazione, mendace.

PS2: in caso che qualche magistrato\avvocato legga il post: il post è presente su un blog che non può essere in alcun modo associato alla legge sulla pubblicazione a mezzo stampa ancorchè digitale sia a causa della aperiodicità del medesimo, sia per la natura personale dei contenuti, Va inoltre osservato che dominio e locazione dei server contenenti i post di questo blog sono situati al di fuori del territorio della comunità europea e quindi nessun provider europeo può essere considerato corresponsabile per la distribuzione di tali contenuti.

PS3: In caso che qualche magistrato\avvocato\giudice legga il post: si stò giocando (ma conoscendo la gens italica mettiamo comunque le mani avanti, che non si sa mai) 🙂

 

ciao

Antonio