Volevo scrivere di altro oggi, poi tra il lavoro ed il caldo ho perso quello slot mentale. allora Mi dedico a riflessioni legate alle letture varie ed ai post su LinkedIn di oggi.In particolare sono rimasto colpito dalla montante letteratura sulla “cancel culture” un fenomeno che va, a mia impressione, di pari passo con l'”Hate speech“.
Se il primo è figlio di una certa interpretazione della comunicazione della sinistra (ma non solo) il secondo e figlio di una certa interpretazione della comunicazione della destra (ma non solo).
Il fenomeno ha preso resilienza e volume sui social media che, come diceva Umberto Eco, hanno dato voce a molti idioti.
Ma pur concordando con Eco il punto che vedo è diverso. Il problema non è il fiato agli imbecilli ma la loro assoluta fede in quello che dicono.
Una piccola premessa per come vedo la comunicazione
Per poter parlare con qualcuno occorre vi sia uno scambio comunicativo, la comunicazione infatti consiste nel trasferire informazioni da un soggetto A ad uno B e viceversa.
La comunicazione serve a trasformare A e B in qualcosa diverso, più evoluto, dovuto all’apprendimento che la comunicazione stessa porta.
Ora perchè il giochino funzioni sia A che B devono essere in stato ricettivo, che significa essere disposti a cambiare. Il flusso di comunicazione tra A e B può avvenire attraverso canali simmetrici (entrambi usano lo stesso media) o asimmetrici, e possono essere sincroni o non sincroni. ma solo i canali sincroni richiedono un allineamento diretto linguistico ed esperienziale.
A seconda del media A e B avranno interazioni diverse: univoche o biunivoche, asimmetriche o …
ok sto divagando come al solito.
Nei social la comunicazione non è quasi mai sincrona (salvo forse, le chat) ed è per larga parte asimmetrica uno scrive un post e gli altri rispondono. le risposte non hanno la stessa natura del post, che rimane il riferimento oggettivo della sequenza della comunicazione.
Questi due elementi rendono possibile per A e B non instaurare un protocollo di comunicazione diretto, né in termini linguistici né in termini esperienziali. Il risultato che A e B non stanno necessariamente comunicando tra di loro, ne che tale trasferimento di informazioni sia oggettivamente possibile.
Torniamo alla verità
In un meccanismo di comunicazione i due soggetti devono essere aperti al dialogo ed al trasferimento di conoscenze.
Questo non significa che si deve assumere vero o non discutibile quanto trasferito durante il processo, ma che si deve, per quanto possibile, fare riferimento alla propria esperienza ed alla proiezione che si ha della esperienza altrui per effettuare una analisi critica dei contenuti trasferiti.
Questo richiede da un lato che chi riceve sia aperto a capire e chi trasmette sia cosciente che il proprio messaggio potrebbe non essere compreso.
Queste due opzioni però si scontrano con un problema di base, l’analisi critica del messaggio in arrivo e la proiezione delle esperienze può avvenire solo in una finestra di relatività comunicativa dove vi è la sospensione del giudizio morale sul contenuto stesso della comunicazione.
Qui viene fuori il problema con le verità assolute, di fronte alla verità assoluta l’assunzione è che la controparte se critica sia in malafede. Diventa così viziato il meccanismo di comunicazione che si trasforma in qualcosa d’altro in quanto uno dei due soggetti (od entrambi) diventa moralmente giudicato dall’altro che ne rigetta a priori le ragioni percepite come menzogne.
Questa “moralizzazione” del messaggio ovviamente rende lo scambio quasi impossibile perchè la controparte è malvagia ontologicamente rigettando la verità.
Quanto minore è la finestra esperienziale, nozionistica e cognitiva maggiore è l’approccio fideistico di assunzione di verità provenienti da fonti considerate intoccabili.
Intendiamoci il meccanismo del pregiudizio è ineliminabile, è il meccanismo cognitivo alla base del nostro apprendimento, ma il pregiudizio diventa giudizio e potenziale trasformazione dopo l’analisi critica del contenuto, se la verità è immutabile il pregiudizio rimane intatto e non ci si muove allo stato di giudizio.
Così si alimentano dualismi assoluti, se da un lato chi è critico del comunismo è fascista, dall’altro chi è di sinistra è ontologicamente estremista e malvagio.
La polarizzazione ha una conseguenza diretta sul mescolare cause ed effetti, riconducendo la realtà a interpretazioni di parte che ne riducono la complessità, che andrebbe contro agli assunti fideistici delle parti in causa.
La “cancel culture” e il suo duale “hate speech” nascono da questo tipo di approccio. Non si considera l’analisi critica di un contenuto perchè si è già in possesso della verità.
Ed essendo in possesso della verità ed essendo nel giusto la controparte è ontologicamente cattiva e va quindi censurata. La possibilità che vi possa essere una terza via (concause, differenti eventi che portano a medesimi risultati) sono non accettabili. Questo tipo di integralismo è comune sia a destra che a sinistra anche se a destra prende spesso le fattezze di integralismo religioso mentre a sinistra di integralismo “sociale”.
Al di la delle esperienze con i Social Justice Warrior o del “cultural Appropriation” di qualche tempo fa oggi lo vediamo ad esempio con le polemiche linguistiche sull’uso delle terminologie (soprattutto nei paesi di lingua anglofona) e di genere in quelle latine. Provare a spiegare che il contesto di blacklist non ha niente a che fare con l’odio razziale e la schiavitù non serve, perchè il contesto è fissato da una verità assoluta, e a nulla serve spiegare che nelle lingue latine il neutro è stato assorbito dal maschile e che più che maschilismo linguistico si tratta di neutrismo (non esiste il termine? neologismo si, tutti usano i neologismi, perchè non posso farlo io?)
Sulla cancel culture leggevo oggi grazie ad un bel post su linkedin
https://www.linkedin.com/posts/activity-6701024579806097408-JMHQ
un articolo di Paul Berman
che proiettava una analisi storica politica che è contigua a quello che sto scrivendo nei confronti della cancel culture che, anche se non la condivido appieno, sottolineava proprio come questi atteggiamenti nascano dalla negazione delle cause di un evento
La negazione nasce da una verità pre-impostata che rende impossibile una analisi critica.
Trovo che il punto di Berman sia interessantissimo, anche se trovo che tali atteggiamenti siano presenti non solo nella sinistra radicale ma anche nella destra radicale, in particolare quella religiosa, o nel Peronismo odierno (da Trump a Bolsonaro, da Salvini a Orban) e che trovino la loro giustificazione proprio nel essere frutto di “verità assolute ed indiscutibili”, che segnano anche il passo morale
La verità
Non ho problemi con la verità e non sono ne nichilista ne relativista, ma neanche Kantiano.
Il mio problema arriva quando si considerano postulati non discutibili come assunti che portano alla definizione morale della controparte.
Se si parte dalla idea che la contraparte sia ontologicamente cattiva, qualsiasi discussione diventa uno sterile esercizio di scambio di insulti. Senza la coscienza che le verità che consideriamo assolute sono frutto in realtà sempre di una mediazione ed interpretazione spegniamo il nostro senso critico.
in merito si può leggere il mio delirio:
Quanto dare quindi peso alla “cancel culture” o all'”hate speech” difficile dirlo.
Il vero problema di entrambi è la totale assenza analisi di contesto nel giudizio che può assumere forme anche verbalmente violente, ma nel primo caso spesso si sfiorano meccanismi censori che sono, francamente, poco rassicuranti.
Di sicuro in entrambi i casi cercare di intavolare una discussione diventa inutile, visto la chiusura della controparte a qualsiasi mediazione sulle proprie posizioni.
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