Stavo parlando, qualche giorno fa, con un amico e si commentava come le fonti ufficiali di informazione (giornali e telegiornali in primis) hanno presentato la diatriba tra Fini e Berlusconi.
Effettivamente abbiamo entrambi osservato come si sia presentata una questione squisitamente politica in termini di mera gestione del potere.
Nulla si è detto sul valore politico delle posizioni di Fini che rappresentano una legittima espressione di una visione di stato e intervento sulla cosa pubblica (mi si conceda, nel senso più alto di fare politica) che può essere condivisibile o meno, ma sicuramente rispettabile. Si è invece presentata la questione in meri termini di bilancio di forze e numeri, lasciando che il contenuto fosse sommerso dalla mera gestione del potere.
L’immagine che viene fuori della politica italiana e della informazione ad essa associata è, ancora una volta, abbastanza deprimente.
Ora, pero, la questione che più mi spaventa è il capire se il presentare un legittimo confronto politico in meri termini di gestione del potere sia legato ad una precisa volontà di mettere in secondo piano i termini più alti della politica o a semplice scelta di non tediare lo spettatorelettore :).
Un senso analogo di fastidio lo avevo provato quando, a fine elezioni amministrative, avevo sentito su radiorai un commento sprezzante verso coloro che hanno fatto la dolorosa scelta della astensione.
Il commentatore, di cui non ricordo il nome, a seguito di un intervento telefonico di un cittadino che aveva dichiarato la sua astensione, per la prima volta, dalle urne aveva commentato come chi non vota non abbia diritto poi di lamentarsi sull’andamento del voto (e su questo convengo abbia tutte le ragioni del caso) e che avrebbe piuttosto dovuto fare la scelta del male minore, perché, e qui viene la cosa che mi ha disturbato, adesso comunque i vincitori stavano discutendo di poltrone e seggi e chi non aveva votato aveva comunque torto.
Pur convenendo che si possa non apprezzare l’astensione, occorrerebbe che a questa fosse riconosciuto un valore politico da chi a cuore la cosa pubblica, altrimenti ancora una volta si è presentata la politica come un momento di mera spartizione del potere.
Il dirittodovere al voto sancito dalla nostra costituzione va esercitato nelle forme e nei modi che la legge presenta. Laddove ci fosse obbligo espresso, andare a votare sarebbe in imperativo, ed il dissenso potrebbe essere espresso annullando la scheda o lasciandola intonsa. Ma se l’ordinamento attuale concede anche il diritto all’astensione questa deve essere interpretata per quello che è, una forma di dissenso legittima.
Significato profondamente diverso assume, quindi, in presenza della possibilità dell’astensione la scelta di andare a votare, andare a votare annullando la scheda, andare a votare con scheda bianca o non andare a votare direttamente.
Se poi è vero che nei termini della composizione parlamentare gli assenti non hanno rappresentanza non è altrettanto vero che questi non abbiano valenza politica, meno che per politica si intenda la spartizione di sedie e poltrone.
sigh